Intreccio di interessi tra l’Ungheria, lo stato dell’UE più sbilanciato verso la Russia che coltiva anche ottime relazioni con il regime di Pechino, e la BYD, il costruttore cinese (nella foto il suo modello Atto 3) che contende a Tesla il primato globale per volumi di auto elettriche vendute: nei primi 9 mesi dell’anno la distanza è scesa a sole 280.000 unità. Governo magiaro e produttore del Celeste Impero hanno confermato (dopo negoziati spalmati su 224 incontri) la futura costruzione di una fabbrica, che, informa una nota della BYD, sarà il “primo grande impianto di produzione di veicoli elettrici di consumo di una casa automobilistica cinese in Europa”.

Ma anche Chery, colosso della Repubblica Popolare a controllo pubblico, si sta “guardando attorno” e pare stia valutando anche il Belpaese, dove ha un “alleato” forte, la DR Motor di Massimo di Risio, che produce su licenza, anche se è stato comunque escluso l’utilizzo congiunto delle strutture produttive esistenti. Nei giorni scorsi Dickson Huang, responsabile della rete di Omoda, uno dei due marchi con la quale Chery intende lanciare l’offensiva in Europa partendo proprio dallo Stivale, ha dichiarato: “Prendiamo in considerazione l’ipotesi di produrre auto in Europa”. “C’è un confronto in corso anche in Italia, ma nessuna decisione è stata ancora presa”, ha aggiunto.

L’intreccio di interessi riguarda la volontà del governo ungherese di far lievitare la produzione industriale e l’occupazione nel paese e la necessità del costruttore del Regno di Mezzo di evitare le misure che la classe politica europea – comunitaria e nazionale – sta adottando a difesa della filiera dell’automotive del Vecchio Continente. Era stata sollecitata in tal senso da diversi top manager, a cominciare da Luca de Meo, l’italiano che guida il gruppo Renault e presidente di turno dell’ACEA, l’associazione che raggruppa i costruttori che operano in Europa, e Carlos Tavares, il portoghese a capo del gruppo italo francese Stellantis.

Dallo scorso anno la Cina è diventato il primo esportatore di auto destinate all’Unione Europea, che assorbe un quinto delle vetture che finiscono all’estero e quasi due terzi della produzione di modelli elettrici). Tra il 2020 e il 2022 il controvalore ha sfiorato i 9,5 miliardi con volumi lievitati del 432% (addirittura il 640% in Italia). Finora, tuttavia, il 70% delle auto cinesi arrivate nel Vecchio Continente avevano alimentazioni convenzionali.

Parigi ha pronto un disegno di legge grazie al quale gli incentivi a favore delle elettriche finirebbero per penalizzare i modelli non fabbricati in Europa, in Cina in particolare, mentre Ankara ha trovato il modo di arginare le importazioni dal Celeste Impero imponendo una distribuzione minima (elevata) per la rete di assistenza per le case automobilistiche europee che non abbiano accordi commerciali di libero scambio con l’UE.

Anche l’Italia, ha fatto sapere il ministro delle imprese Adolfo Urso, lavora a un sistema che agevoli l’acquisto di modelli fabbricati in Italia e in Europa, visto che nel 2022 appena un quinto delle sovvenzioni pubbliche aveva sostenuto l’immatricolazione di macchine prodotte nel Belpaese.

Non è ancora dato sapere quando BYD avvierà i lavori di costruzione (peraltro “su più fasi”), anche se le autorità locali, a Szeged, al confine con Serbia e Romania e a ridosso della linea ferroviaria che collega il paese con la Cina, stanno già lavorando per predisporre l’area di 300 ettari, un centinaio in meno di quelli occupati da Tesla nei pressi di Berlino. Di sicuro l’Ungheria vuole garantirsi nuovi investimenti (ma l’esecutivo non ha reso pubblica l’entità delle agevolazioni garantite alla BYD): nel paese hanno (o avranno) stabilimenti Audi, Bmw, CATL (9.000 posti di lavoro stimati), Mercedes, Samsung Stellantis e Suzuki.

Nel 2022 sono stati prodotti nel mondo poco più di 85 milioni di veicoli, appena 15,6 milioni dei quali in Europa, Russia esclusa (erano quasi 20 milioni nel 2019) con un contributo italiano di poco meno di 800.000 unità (contro gli 1,4 milioni della Francia, i 2,2 della Spagna e i 3,7 della Germania). L’Ungheria si era fermata 442.000, peraltro con una crescita del 6%.

La Cina, dove fabbricano molte case automobilistiche europee, costrette alle joint venture dalle norme nazionali, da sola valeva 27 milioni, praticamente un terzo del totale: nei primi 9 mesi de 2023, la BYD ha venduto più di un milione di sole auto elettriche, senza contare le altre. Ma non è tutt’oro quello che luccica. E l’Italia lo sa bene, visto che è miseramente fallita l’operazione della joint-venture sino americana tra la FAW e la Silk EV che doveva portare alla produzione di bolidi “alternativi” nella Motor Valley. Ciò che è rimasto è un fascicolo per “tentata truffa aggravata ai danni dello Stato” per una richiesta di fondi di 38 milioni sui 380 di investimenti promessi.

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