Tra i tanti inquinamenti che ci affliggono, ce n’è uno di cui poco si parla; ma basta guardare le denunzie che arrivano in Procura per capire che è molto più frequente di quanto si pensi.

Si tratta dell’inquinamento da puzza o, per meglio dirlo con il legislatore, da “emissioni odorigene”, che fino a poco tempo fa non veniva neppure preso in considerazione dalle nostre leggi di tutela ambientale. Tanto è vero che nei casi più insopportabili si ricorreva ad un generico articolo (il 674) del codice penale che punisce come contravvenzione chiunque “provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a molestare le persone”; e che, pur se non parla di odori, era stato ritenuto applicabile dalla Cassazione, in casi dove, ad esempio, c’è gente che deve vivere con le finestre sempre chiuse per attutire esalazioni moleste provenienti da manifatture come torrefazioni di caffè o da terreni agricoli abbondantemente ricoperti di concimi e immondi fanghi da depurazione. Per non parlare delle esalazioni da rifiuti giacenti in discariche o per strada.

Nel 2017, tuttavia, veniva finalmente inserito nel testo unico ambientale un articolo (272-bis) sulle emissioni odorigene, che, tuttavia, non dice niente di certo ma si limita a demandare alla normativa regionale o alle autorizzazioni per le emissioni la facoltà di prevedere misure per la prevenzione e la limitazione delle emissioni odorigene degli stabilimenti, riservando, nel secondo comma, allo Stato la facoltà di elaborare indirizzi e proporre integrazioni della normativa tecnica in proposito.

Aspettavamo, quindi, con ansia un intervento deciso dello Stato che finalmente, pochi giorni fa, è arrivato con un Decreto Direttoriale del Ministero dell’Ambiente, il quale indica indirizzi tecnici di riferimento principalmente alle Autorità, per l’elaborazione dei dati e dei limiti per le emissioni odorifere. Ma, sia chiaro, indica “indirizzi” e non limiti precisi e cogenti direttamente applicabili contro le emissioni odorigene. Solo se e quando verranno resi obbligatori con autorizzazioni e specifiche prescrizioni si potrà arrivare ad una sanzione penale (sempre contravvenzionale) o amministrativa.

Correlativamente, anche l’ambito di applicazione è piuttosto generico in quanto si specifica che si tratta solo di un “documento tecnico” con “indirizzi” applicabili in tutti i campi in cui vi sia inquinamento da puzza. E anche l’elenco degli impianti e attività cui possono essere applicati (fra cui, ad esempio, produzione di bitumi, di concimi di piastrelle ceramiche, di materie plastiche, di scarti da macellazione, fonderie, allevamenti zootecnici, trattamento di fanghi, torrefazioni di caffè, concerie, industrie petrolifere, industrie farmaceutiche e cosmetiche, industrie alimentari e sansifici) ha solo “natura indicativa”. Così come non sono direttamente cogenti “i valori di accettabilità dell’impatto olfattivo”, che pure sono specificati in una apposita tabella.

Insomma, è tutto solo “indicativo”; come sempre, quando si tratta di tutelare l’ambiente, si fanno le cose a metà per non scontentare nessuno. Questa è la “sostenibilità” all’italiana.

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