Un’Italia in crisi, un Parlamento fragile e sempre meno centrale, una debolezza sul piano internazionale, il malcontento di una popolazione sempre più impoverita, il timore di una rivoluzione rossa, un Paese ancora incapace di concepirsi unito e la debolezza di un sistema parlamentare sempre più afasico, incapace e e trasformista e le spaccature interne all’opposizione per affermarsi come unico portavoce di un progetto forte e riconoscibile. Così lo storico inglese Donald Sassoon racconta nel suo Come nasce un dittatore. Le cause del trionfo di Mussolini (Rizzoli 2010) la singolare congiuntura di eventi che creò le condizioni di una dittatura destinata a essere abbattuta solo dopo la più distruttiva delle guerre.

Una cosa nel saggio di Sassoon colpisce particolarmente ed è il modo in cui molti, troppi attori della politica e della società dell’epoca sottovalutarono i molti piccoli segnali che preannunciavano il fascismo, le troppe alzate di spalle, i troppi “vabbè, che sarà mai, cosa vuoi che succeda…”. Colpisce, perché anche oggi i segnali sono percepibili, ma come allora autorevoli commentatori sembrano sottovalutarli: l’antifascismo? Vabbè, cose d’altri tempi oggi non c’è quel pericolo; l’occupazione e il progressivo annichilimento dei mezzi di informazione? Un po’, in fondo, c’è sempre stata!; il familismo sfacciato nei posti di potere? Cosa volete che sia? Non è un reato; un progressivo svuotamento del ruolo del Parlamento? Il continuo tentativo di erodere i poteri del Presidente della Repubblica? Le intimidazioni alla Magistratura? I piccoli, ma progressivi abusi di potere? La revisione della storia, che trasforma dei criminali nazisti in una banda di pensionati? Tutti segnali ignorati, non considerati pericolosi. Così come certi atteggiamenti sprezzanti di autorevoli esponenti del governo, che ricordano tanto il “me ne frego” delle camicie nere.

Il fatto stesso che si cominci a dire che nella Costituzione non si parla di antifascismo è significativo: vuole dire sottrarla alla storia e a quelle donne e a quegli uomini che la pensarono e la scrissero avendo bene in mente cosa il fascismo aveva causato. La capacità perduta di indignarsi è un segno preoccupante, la prova di quel sonnambulismo avvertito dal Censis, di una rassegnazione al peggio, di un senso di impotenza, che purtroppo l’inettitudine delle opposizioni non riesce neppure a scalfire.

Dimentichiamo in fretta, troppo in fretta. Non abbiamo mai fatto i conti con il passato. Un passato che non passa mai veramente, perché è sempre ben nascosto, celato nei meandri del presente. Così continua a scorrere, come acque carsiche invisibili che alimentano un fiume lento e pigro. Torna in mente la celebre battuta di Giorgio Gaber, quando parlando di Vittorio Emanuele III gli faceva dire: “Ne abbiamo provate tante, proviamo anche questa!”. Il problema (e fa meno ridere) che questa volta lo abbiamo già provato.

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