Non abbiamo toccato i poteri del presidente della Repubblica“. Per rispondere ai costituzionalisti che in questi giorni sfilano al Senato a criticare il ddl sul premieratoapprovato a inizio novembre dal Consiglio dei ministri – la premier Giorgia Meloni ripete il suo mantra sganciato dai fatti: “Abbiamo volutamente lasciato inalterato il valore e il ruolo” del capo dello Stato, “in questo caso di Sergio Mattarella, che è una figura che sicuramente per gli italiani rappresenta un assoluto punto di riferimento”, dice a Rtl 102.5. “Tutto quello che facciamo con la riforma”, insiste, “è dire che chi guida il governo lo devono scegliere gli italiani”. Chi contesta il progetto, invece, “è abituato a fare il bello e cattivo tempo facendo e disfacendo il governo nei palazzi, sulla pelle degli italiani, per realizzare programmi che nessuno aveva votato, per mettere gente che nessuno aveva votato. Chiaramente ha un problema se si dice che questo gioco è finito e adesso chi governa la nazione lo decidono gli italiani alle urne”, attacca.

Rispetto a questa narrazione semplicistica, però, i contenuti del ddl sono molto più scivolosi. Le prerogative del presidente della Repubblica sarebbero mantenute solo formalmente, mentre di fatto verrebbe svuotato il suo ruolo più importante, quello di “arbitro” delle crisi di governo. Dall’altro lato, il presidente del Consiglio – eletto direttamente dal popolo – diventerebbe il vero dominus del sistema, potendo causare lo scioglimento automatico delle Camere con le proprie dimissioni (salva la possibilità del capo dello Stato di sostituirlo, per una sola volta, con un esponente della sua stessa maggioranza, che però si deve impegnare a portare avanti lo stesso programma). Un panorama che “confligge con gli standard del costituzionalismo democratico, basato sull’equilibrio e la separazione dei poteri“, ha riassunto Fulco Lanchester, professore emerito di Diritto costituzionale alla Sapienza di Roma, in audizione di fronte alla Commissione Affari costituzionali di palazzo Madama, dove il testo ha iniziato il suo iter parlamentare. Per Roberta Calvano, ordinaria all’Unitelma Sapienza, l’elezione diretta del premier “sembra creare un cortocircuito tra due legittimazioni diverse – elettivo/plebiscitaria e fiduciaria – che non riesce a far dialogare tra loro, nonché un indebolimento dei poteri del presidente della Repubblica tale da comprometterne il ruolo di possibile arbitro delle crisi”.

Addirittura, ha avvertito Francesco Clementi – ordinario di Diritto pubblico comparato nello stesso ateneo – la riforma mette a rischio la stessa “unità nazionale, rappresentata dal capo dello Stato”, il quale “si troverebbe a essere senza alcun potere, pur avendo i poteri scritti in Costituzione”. Per questo, ha spiegato, l’inquilino del Quirinale, “chiunque esso sia, si troverebbe di fronte a questo testo in grande imbarazzo“. Anche per l’ex presidente della Consulta Ugo De Siervo le nuove norme causerebbero una “vistosa riduzione dei poteri del presidente della Repubblica” e “vincolerebbero l’esercizio” di una delle sue prerogative più importanti, lo scioglimento delle Camere. Critico anche uno dei suoi successori, l’ex premier Giuliano Amato: “Un organo che abbia una legittimazione superiore e diretta” come il presidente del Consiglio eletto dai cittadini “può guardare il Capo dello Stato e dirgli “io che ho la legittimazione degli elettori la penso invece così”. A quel punto ci siamo giocati la figura che gli italiani amano di più“, riassume.

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