La frase “mai più bambini in carcere” rischia di rimanere uno slogan politico. Oggi non c’è in calendario nessun provvedimento che miri a potenziare strutture alternative al carcere per le detenute madri con figli piccoli. E le presenze di bambini nei penitenziari femminili, in calo dal 2018, stanno tornando a salire se si considera che, secondo gli ultimi dati pubblicati dal Ministero della Giustizia, al 30 novembre 2023 erano 8 su 22 i bambini ristretti in un istituto ordinario. L’unica misura recente intervenuta sul tema è stata inserita lo scorso novembre nel cosiddetto pacchetto sicurezza e inasprisce l’ordinamento contro detenute incinte o con figli minori di un anno. Se approvata, renderebbe facoltativo per loro il differimento della pena, oggi obbligatorio ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale.

Martedì 19 dicembre, le opposizioni presenteranno un appello congiunto per chiedere di non modificare quei due articoli. L’iniziativa, proposta dal deputato Devis Dori (Europa verde), è sostenuta da personaggi del mondo dello spettacolo e dei diritti, come Alessio Boni, Claudio Marchisio, Marisa Laurito, Luigi Manconi, Moni Ovadia, Lorenzo Marone e Susanna Marietti di Antigone. La richiesta è di espungere quelle modifiche dal pacchetto sicurezza in nome di due principi: “l’articolo 27 della Costituzione stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità; l’articolo 31 della Costituzione stabilisce che la Repubblica protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù”.

Case protette, Icam e carcere, come funziona adesso – Secondo la legge in vigore (62/2011), le madri detenute con figli da zero a sei anni (prorogabili a dieci) dovrebbero essere assegnate di preferenza a una casa famiglia protetta, in alternativa a un Istituto a custodia attenuata per madri (Icam) e, solo per reati di “eccezionale rilevanza”, al carcere, dove i bambini possono rimanere solo fino ai tre anni. Ciascuna delle tre strutture ha un impatto diverso sulla vita del minore.

Le case protette sono spazi esterni al circuito penitenziario. Accolgono detenute con una pena stabilita o prevista inferiore ai 4 anni e non prevedono oneri per lo Stato. Ne esistono due in Italia, a Milano e Roma, e ognuna può ospitare sei adulti e otto bambini. La logica è quella degli arresti domiciliari: non esiste videosorveglianza né sbarre né agenti di guardia. Il controllo avviene tramite visite delle forze dell’ordine e monitoraggio degli operatori. Ogni volta che intende uscire, una detenuta deve avvisare il commissariato di riferimento e può farlo soltanto se il suo status penale lo consente. Il bimbo è libero. Può uscire e rientrare senza orari e invitare altri coetanei nella struttura. Gli spazi sono monolocali o bilocali in cui vive da solo con la madre o con un altro nucleo mamma-bambino.

Oggi il numero maggiore di figli al seguito di madri detenute si trova negli Icam. Regolamentati dal 2011, questi istituti dovrebbero essere distaccati dai penitenziari, ma spesso si trovano al loro interno o nelle vicinanze. Hanno 60 posti in totale e rientrano a tutti gli effetti nel circuito penitenziario. In Italia ce ne sono cinque: a Cagliari, Lauro (provincia di Avellino), Milano,Torino e Venezia. Si distinguono dalle carceri tradizionali perché tentano di essere a misura di bambino: il personale non è in divisa, c’è massima mobilità all’interno e, con l’aiuto dei volontari, i bambini svolgono molte attività fuori. Ma gli Icam mantengono le caratteristiche di un carcere. Anche se alcuni sono organizzati in monolocali o bilocali autonomi, le stanze hanno le sbarre alle finestre, le porte si chiudono a una certa ora, non sono ammessi ospiti se non per i colloqui e si fa largo uso di videosorveglianza.

Se il giudice propende per il carcere, i bambini finiscono con le madri nelle sezioni nido dei reparti femminili. Qui le regole sono quelle dei penitenziari ordinari con qualche variazione. Spesso, ad esempio, il nido si trova in un’ala separata e c’è maggiore tolleranza sull’apertura delle celle nell’arco della giornata.

La proposta di modifica ritirata dal Pd – Presentata per la prima volta l’11 dicembre 2019 dall’ex deputato dem Paolo Siani, la proposta di modifica della legge 62/2011 introduceva fondi pubblici per le case famiglia protette e creava le condizioni per rendere il carcere una destinazione quasi impossibile per i bambini. Arenata per anni, nel maggio 2022 era stata approvata alla Camera con soli sette voti contrari, tutti di Fratelli d’Italia. In attesa di conferma al Senato, è decaduta con la fine del governo Draghi. A inizio legislatura, la parlamentare Pd Debora Serracchiani ha presentato lo stesso testo con procedura d’urgenza alla Camera, ottenendo che fosse votato nei primi sei mesi del governo Meloni. Sebbene la stessa Lega avesse confermato quel provvedimento l’anno prima, nel marzo 2023 lo ha stravolto con emendamenti talmente restrittivi da prevedere la revoca della potestà genitoriale in caso di recidiva. Un principio opposto a quello su cui si basava il testo che si stava discutendo. Il Pd ha allora ritirato la proposta, mentre la Lega ha promesso che lo avrebbe ripresentato, salvo poi intervenire solo inasprendo il differimento pena.

L’interesse del minore – Contro le misure del pacchetto sicurezza si schierano anche i tecnici. Per Alida Montaldi, ex presidente del Tribunale per i minorenni di Roma, oggi in pensione, “con quelle norme si sposta la bilancia dalla tutela dell’interesse del bambino, che deve sempre prevalere, alla sicurezza sociale”, dice la giudice minorile a ilfattoquotidiano.it. Sottintesa nelle proposte della Lega, come negli emendamenti che hanno affossato la proposta Siani, c’è l’idea che i figli di autori di reato crescano meglio con altri genitori. Eppure, come spiega Montaldi “non ci sono equazioni né automatismi tra reato e capacità genitoriale. E non c’è né nel nostro ordinamento né nell’esperienza professionale né negli studi scientifici, psicologici e pedagogici una base su cui radicare una convinzione del genere”. A influire sono altri fattori. “Non si considera il reato in sé ostativo all’esercizio della funzione genitoriale ma si valuta, in concreto, se il comportamento di rilevanza penale sia stato dannoso per il figlio o significativo di inadeguatezza genitoriale”. Le modifiche proposte dal governo sono contrarie agli stessi principi sanciti dall’Unione europea oltre che dal diritto internazionale, che aspira a tutelare sempre e il più possibile fuori dal carcere il legame con il genitore detenuto. “Corte costituzionale, Corte di cassazione e Cedu – dice Montaldi – hanno rimarcato più volte con sentenze recenti la necessità di tutelare al massimo la genitorialità biologica per valorizzare il legame di sangue, perché è più che dimostrato che la separazione dalla famiglia biologica è un trauma per un minore. Chi va contro questo principio pretende di scrivere nelle leggi in quali casi una famiglia è indegna di tenere con sé il proprio figlio”.

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