di Ferdinando Pezzopane e Giorgio De Girolamo

Il 9 luglio 2021 tramite mail viene annunciato ai 429 operai del sito produttivo Gkn di Campi Bisenzio il licenziamento. Si apre da quel momento una vertenza che sintetizza tutte le principali contraddizioni del sistema produttivo italiano. Gkn produceva semiassi per automobili, diretti principalmente verso gli stabilimenti Fiat.

Il settore dell’automotive da gigante del XX secolo si è trasformato progressivamente negli ultimi 30 anni in anello debole del sistema Italia. Il fondo Melrose, proprietario della Gkn dal 2018, forte della sua posizione sul mercato internazionale non tenta nemmeno l’apertura di un tavolo istituzionale. Pur dichiarando di aver avviato la procedura di licenziamento in extremis, dopo aver provato a salvare lo stabilimento, da una recente inchiesta è emerso che la chiusura fiorentina si inseriva invece in un più ampio quadro di riduzione del costo del lavoro ai fini della massimizzazione del guadagno degli azionisti.

Sul piano produttivo la scelta risulta infatti insensata, considerando come dopo il lockdown la direzione aziendale fiorentina avesse dovuto addirittura assumere ulteriori operai – con contratto interinale – per ottemperare alle richieste del mercato in ripartenza dopo il lockdown pandemico. Gli operai rispondono alla mail presentandosi ai cancelli della fabbrica, occupandola attraverso l’assemblea permanente. Il tutto per non permettere lo spostamento dei macchinari, consci che ciò avrebbe determinato la fine di qualsiasi prospettiva sul piano della continuità occupazionale.

Il Collettivo di fabbrica Gkn dall’inizio ha provato a sondare diverse strategie per far ripartire la produzione dello stabilimento fiorentino. Ha costruito alleanze con l’università, il mondo della ricerca e dei movimenti ecologisti presentando un valido piano di riconversione dello stabilimento basato su due strategie complementari: una prima fondata sulla produzione di cargobike, nell’ambito della mobilità dolce e della logistica di prossimità e una seconda come la produzione di pannelli fotovoltaici, legata al settore della transizione energetica. Un piano che si può sostenere, sottoscrivendo anche piccole quote, attraverso la forma dell’azionariato popolare, lanciato dalla cooperativa GFF (Gkn For Future) costituita dagli operai: un milione di euro di azioni chiamato “pacchetto solidale” e che è rivolto a cittadine e cittadini, associazioni, movimenti, lavoratrici e lavoratori, delegate e delegati sindacali, solidali, che diventeranno così parte dell’assemblea della cooperativa, esercitando un controllo sociale sul processo di reindustrializzazione.

Da quel 9 luglio sono trascorsi due anni e mezzo. All’interno di quello stabilimento sono passate decine di migliaia di persone, lavoratori e lavoratrici, attiviste per il clima da tutta Europa, richiamate dalla più lunga occupazione di una fabbrica nella storia italiana. Quella nicchia da cui poter iniziare ad erodere il capitalismo, per riprendere un’immagine di Erik Olin Wright, quel laboratorio della transizione ecologica dal basso unico in Europa che abbiamo tutte e tutti conosciuto rischia di cadere. Il 18 ottobre è stata infatti avviata una procedura di licenziamento dei 185 lavoratori e lavoratrici che dopo mesi di cassa integrazione e di intere mensilità non pagate sono riusciti a resistere. Nonostante stiano tentando di rinviarli – è già stato proposto ricorso per condotta antisindacale (art. 28 s.l.) dalla Fiom di Firenze – la procedura è destinata a perfezionarsi il primo gennaio.

Non che pretenda di prevalere sulle molte crisi che assediano il nostro tempo, sul genocidio israeliano del popolo palestinese, sulle violenze perpetrate sulle vite e sui corpi delle donne dagli uomini e dalla società patriarcale. Non che creda di essere più importante delle molte crisi industriali di cui abbiamo quotidianamente notizia e che presto dimentichiamo perché abituati a vederle costantemente sconfitte. Quei 185 operai che ancora lottano contro l’ennesimo licenziamento collettivo non valgono più delle migliaia che ogni anno perdono il posto di lavoro per logiche speculative o piani di delocalizzazione. Non contano più dei 3 milioni di precari o dei 5,8 milioni di poveri assoluti di questo paese. Sono gli stessi lavoratori ex Gkn i primi a ribadirlo.

Ma possono rappresentare l’eccezione alla regola. Possono rompere la massima d’esperienza secondo la quale “loro”, in un modo o nell’altro, alla fine vincono sempre. “Spiccare il volo o cadere”, come dice il Collettivo di fabbrica. Sembra che non ci sia alternativa che quella di immaginare l’impossibile per sconfiggere un presente che crea solo rovine. Alluvionati e licenziati per la seconda volta. Vittime due volte di un territorio ad alto consumo di suolo in un paese che sta iniziando a subire gli effetti (fino a poco tempo fa troppo astratti) della crisi climatica e di un paese che ha rinunciato a guidare la politica industriale e la transizione ecologica.

Ma che non si arrendono e, oltre a lanciare un Insorgiamo Tour con alcune date importanti in Italia e in alcune capitali europee, si appellano a tutti e tutte le solidali per due date: il 17 dicembre per un’assemblea in fabbrica e il 31 dicembre per una “mobilitazione impossibile”. Il giorno prima di quello in cui dovrebbe perfezionarsi la procedura di licenziamento, ma anche quello in cui, se vogliamo, può aprirsi un tempo diverso. Perché non sia solo il nuovo anno, ma un anno nuovo.

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