Ci hanno pensato i giudici albanesi a porre un freno, almeno per ora, all’accordo Meloni-Rama sui migranti. Chi lo avrebbe mai detto che questa sarebbe stata la fine ingloriosa del nostro malmesso stato di diritto: farsi mettere sotto giudizio dalla Corte di una paese dalla democrazia giovanissima.

Qualche settimana fa, tra un decreto legge e l’altro sempre in tema di sicurezza e migranti, il governo italiano aveva sbandierato l’accordo con il governo presieduto da Edi Rama per gestire in Albania il trattenimento forzato di alcune migliaia di migranti che l’Italia, per evitare l’approdo nelle nostre coste, avrebbe lì dirottato. Che fosse un accordo vago e pericoloso lo hanno scritto a chiare lettere esperti, giudici, avvocati. Decine le domande senza risposta che studiosi, giuristi e attivisti avevano posto. Come assicurare il diritto di difesa? Chi è il giudice competente per ciò che accade nei centri albanesi? Cosa accade dopo la fine del periodo di detenzione coatta? I ministri coinvolti hanno difeso l’accordo parlando di extraterritorialità. È stato evocato il lavoro a distanza da parte di giudici e avvocati italiani, così riducendo all’osso quel che resta dell’habeas corpus per gli immigrati detenuti senza aver commesso alcun reato. Va ricordato infatti che stiamo parlando di persone imprigionate contro la loro volontà solo perché hanno migrato irregolarmente verso il nostro paese.

Esponenti di governo hanno affermato cose fra loro contraddittorie a proposito dei numeri complessivi dei migranti da esportare in Albania come fossero merce, dei costi milionari dei centri da realizzare, dei tempi di trattenimento forzato, delle modalità di approvazione dell’accordo in Italia. Si voleva evitare che esso passasse dal Parlamento, anche per anestetizzare ogni forma di controllo o supervisione giurisdizionale italiana o europea. Ci ha pensato per ora la Corte Costituzionale albanese a sospendere la trattativa, che nel paese delle aquile era già arrivata a essere discussa in sede parlamentare. Una sospensione che è giunta dopo che l’opposizione albanese, sia evocando ragioni nazionaliste che per motivi legati al rispetto del diritto internazionale, si era rivolta ai giudici costituzionali.

Il piano di esportazione di qualche migliaio di persone, trattate in modo disumano, per qualche mese si è dunque fermato. Se la discussione parlamentare dovesse andare avanti anche in Italia, immagino che ci sarà un giudice che obietterà sulla compatibilità di un simile accordo con il nostro stato di diritto. Non possiamo vendere persone all’estero come se fossero oggetti, privandole al tempo stesso di ogni diritto legale.

Nel frattempo la Procura di Milano ha posto sotto sequestro il Cpr di via Corelli, a Milano, per le condizioni di vita disumane al suo interno. Il Centro di Permanenza per il Rimpatrio era gestito da una società privata. Gli immigrati, in Italia e fuori, sono fonte immorale di lucro. Su ciò è esemplare il lavoro di indagine portato avanti da Cild (Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili) e scaturito nel rapporto che denuncia “L’affare Cpr”.

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