Il braccio di ferro tra Viktor Orban e l’Unione Europea continua e il prossimo episodio sarà andrà in onda durante il prossimo Consiglio Europeo di giovedì. Il delfino di Putin, vero e proprio cavallo di Troia russo nell’Unione europea, cercherà l’ennesimo sgambetto a Bruxelles mettendo il veto all’iniziativa di adesione dell’Ucraina all’Unione, un processo che ha una valenza politica estremamente importante ma che si prospetta lungo e complesso, e che chiederà comunque qualche anno.

Orban – che non ha mai interrotto il rapporto privilegiato con Mosca – sembra seguire il suo copione mettendo a rischio qualsiasi progetto o progresso in tema di integrazione europea. Dall’immigrazione allo stato di diritto, dai diritti umani al progetto di difesa comune, il primo ministro ungherese sembra più interessato a creare e protrarre i problemi in seno all’Unione piuttosto che fare la sua parte per risolverli.

È cosa risaputa che, per scongelare i fondi che l’Ungheria si è vista bloccare a causa del non rispetto dello stato di diritto nel proprio paese, Orban utilizzi qualsiasi opzione che i trattati gli mettono a disposizione, compresa quella di ostacolare l’entrata dell’Ucraina in Ue. Ma per l’Ucraina la scommessa europea è la scommessa della vita. La maggior parte degli ucraini infatti è e si sente europea, come la maggior parte dei Paesi dell’Europa dell’est – un tempo appartenenti al blocco sovietico sancito dal Patto di Varsavia – che dopo la caduta del comunismo si sono spostati ad ovest.

Un mese fa la Commissione europea ha pubblicato un rapporto sull’Ucraina sottolineando i continui progressi fatti dal Paese nell’ambito della democrazia e delle riforme legate allo Stato di diritto, nonostante l’invasione russa, e anche se l’Ucraina deve ancora adempiere a migliorie per quanto riguarda la lotta allo strapotere degli oligarchi nel Paese e il rispetto dei diritti delle minoranze, il suo Parlamento ha continuato a legiferare – nonostante il conflitto in corso – con una considerevole attenzione dedicata all’integrazione europea. La pubblica amministrazione ha dimostrato resilienza e fatto “limitati progressi” anche se si è registrato un rallentamento nell’adeguamento dei salari e nel reclutamento basato sul merito.

Diversi obiettivi raggiunti anche sulla distribuzione del potere a livello regionale, mentre progressi e un certo livello di preparazione si registrano nella lotta alla corruzione e al crimine organizzato, così come nel funzionamento della giustizia. L’Ucraina adotta nel complesso gli strumenti internazionali sul rispetto dei diritti umani e ha ratificato le più importanti convenzioni internazionali. È diminuito pure il numero degli atti discriminatori contro le minoranze e la comunità Lgbtqia+. Insomma c’è ancora molto da fare, ma l’Ucraina si è collocata sul giusto percorso. Un processo che con la fine della guerra potrebbe accelerare l’adesione. Per questo motivo lo scorso mese è stata raccomandata l’apertura dei negoziati per l’Ucraina ma anche per la limitrofa – e altrettanto vulnerabile – Repubblica Moldova.

La partita di giovedì è da considerare come uno scontro non di natura politica, ma di matrice economica. La Commissione e il Consiglio stanno preparando una exit strategy incentrata sulla possibilità di superare i veti di The dictator – così come lo definì l’ex Presidente della Commissione Europea Juncker – e sbloccare 17 miliardi di euro verso Kiev immediatamente attraverso una donazione, mentre la restante parte (circa 33 miliardi) dovrebbero dirigersi verso l’Ucraina con la formula del prestito, anche se la Germania è restia a queste possibilità per via della sentenza di Karlsruhe che ha blindato il suo pareggio di bilancio. Un’ultima alternativa sarebbe l’aiuto spontaneo slegato dal bilancio europeo attraverso volontario sostegno dei singoli Stati membri.

Se alla questione economica si può trovare una soluzione, il nodo della questione politica appare più complesso da sciogliere. Il via libera ai negoziati per l’adesione alla Ue dell’Ucraina deve essere sostenuto anche da Budapest e gli ucraini temono che, se salta adesso, la discussione potrebbe essere rinviata di un anno per via delle elezioni europee. Parlare di date è quasi impossibile, l’Ucraina rappresenta una potenziale massa critica anche in termini di impatto sulle sue istituzioni. Basti pensare all’impatto sulle maggioranze in Consiglio e in Parlamento, o sulle sue politiche comuni, a cominciare da agricoltura e coesione. Anche per questo, l’ipotesi di un fast track (adesione accelerata) per Kiev – qualcuno ha parlato addirittura del 2030 come data possibile per una sua adesione – appare irrealistica.

I prossimi 12 mesi saranno cruciali non solo per l’Ucraina ma per il futuro e la sicurezza europei. Le elezioni europee, la crescita di una destra conservatrice che disgrega pensando al passato invece che al futuro e la possibile rielezione di Trump negli Usa sono elementi che possono cambiare le carte in tavola e spostare gli equilibri verso Mosca, accrescendo la minaccia non solo verso Kiev e Chişinău, ma anche verso il resto d’Europa.

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