di Michele Tamburrelli *

“Il Natale quando arriva arriva!”, diceva un famoso spot pubblicitario di un panettone negli anni ’90. Il mese più felice dell’anno, sinonimo anche di affetti e di feste trascorse in famiglia, fa emergere ancora più le forti incongruenze nei settori del cosiddetto “terziario”. Da sempre nel turismo e da molti anni nel commercio, in modo particolare nella grande distribuzione organizzata, il lavoro domenicale e, in alcuni casi, il lavoro festivo sono diventati una prassi consolidata. L’ambizione di diventare un paese aperto h24, con la assurda pretesa di inseguire il commercio on line, ha reso i settori del terziario un luogo difficilmente vivibile, soprattutto per le lavoratrici donne. Queste ultime hanno spesso scelto, o potuto, impiegarsi come commesse e cameriere part time per poter meglio conciliare i tempi di vita e di lavoro e si sono trovate ancora più spesso imbrigliate in orari di lavoro che impediscono di raggiungere l’obiettivo prefissato.

Certo chi si impiega in questi settori sa che il lavoro domenicale e festivo è contemplato, ma spesso viene impiegato in orari di lavoro dove ottenere un fine settimana libero si rivela una vera e propria odissea. Sì, perché anche chiedere di riposare il sabato è un’eresia in alcune aziende della GDO, e così si determina uno stillicidio di dimissioni, per chi può permettersi di trovare un altro lavoro, che impoverisce l’intero settore.

Il lavoro domenicale è diventato una prassi ormai generalmente accettata. Il contratto collettivo del terziario nel 2008 aveva tentato di porre un freno alla cooptazione del personale senza la previsione di lavoro domenicale in contratto, ma il cosiddetto “Decreto Salva Italia” (dl 201/2011), liberalizzando le aperture domenicali e festive (oltre che, di fatto, quelle notturne), ha aperto gli argini alla possibilità per le aziende di rimanere aperte h24 e di chiedere ai lavoratori del settore un sacrificio importante in termini di disponibilità lavorative.

Il contratto collettivo è stato poi, di fatto, superato dalla prassi delle aziende che da tempo assumono il personale con il vincolo a prestare lavoro domenicale tutto l’anno.
Dubbia è invece la possibilità per le aziende di poter chiedere la prestazione di lavoro festivo, perché questo è un diritto più fortemente tutelato dalla legge. Nonostante ciò, molte aziende inseriscono il lavoro festivo nelle lettere di assunzione generando, di fatto, un potenziale contenzioso quando i dipendenti cercano di osservare il diritto al riposo nelle festività.

Pur essendo molto forte la previsione di legge, sul lavoro festivo la giurisprudenza si è pronunziata in modo alterno, a volte a favore del dipendente che rivendica la possibilità di godere del riposo, più raramente delle aziende. Da ultimo, anche alcuni esponenti di Confcommercio, che ha la sua base di rappresentanza prevalente tra i piccoli commercianti che faticano a tenere i ritmi di aperture delle aziende della grande distribuzione, si sono pronunciati a favore di un ripensamento della logica di apertura h24. Da sempre il sindacato chiede una revisione della normativa e di limitare il disagio per le lavoratrici e i lavoratori del settore. Anche la Cooperazione (supermercati a marchio Coop) ha dimostrato, a lungo e più di altre aziende, di resistere alle sirene delle aperture indiscriminate nelle domeniche e festività, dovendo alla fine cedere alle logiche di concorrenza. Persino esponenti della Fipe, l’associazione italiana dei pubblici esercizi, dichiarano la difficoltà di reperire figure professionali che prestino attività di sera, di notte e nei giorni festivi, con disponibilità quasi illimitate.

Il Covid ha rimescolato le carte e molti lavoratori stanno dando segnali forti rinunciando ad impiegarsi in questi settori dove il sacrificio è maggiore, senza un giusto equilibrio di vita. Oppure dove al sacrificio non corrisponde un equilibrio di vita. Se esiste una parte del mondo che riesce a sopravvivere chiudendo i propri negozi alle 17.00 del sabato per riaprire il lunedì successivo, per quale motivo dobbiamo rincorrere un modello di società che spinge al consumismo eccessivo e alla generazione di bisogni fittizi? E’ così importante andare a comprare una bibita, uno shampoo o un litro di latte di notte o il giorno di Natale?

Cerchiamo di generare una spinta sociale e civile verso la riconquista di tempi più consoni ai nostri equilibri di vita. Sostenibilità non significa solo avere un mondo più a misura d’uomo dal punto di vista del rispetto della natura, ma anche della socialità. Ci pensino la politica e le gli attori sociali, perché il “mercato” sta mandando segnali inequivocabili!

* Laureato in diritto del lavoro e relazioni industriali presso la facoltà di Scienze Politiche di Milano, mi sono occupato della materia fin dai miei primi esordi nel sindacato. Ho diretto per diversi anni un ente di formazione.

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