Poco più di un mese fa il decreto di sequestro da quasi 780 milioni di euro. Adesso il caso della cedolare secca che ha riguardato Airbnn è di fatto chiuso. La piattaforma per gli affitti ha concluso un accordo con l’Agenzia delle Entrate riguardo la ritenuta sui redditi degli host non professionali derivanti appunto da locazioni brevi per il periodo che va dal 2017 al 2021, per un pagamento complessivo di 576 milioni. Airbnb, comunque, non cercherà di recuperare dagli host (che sono stati a rischio accertamento, ndr) le ritenute fiscali per questo periodo. “Stiamo anche proseguendo il confronto costruttivo con le autorità per quanto riguarda il periodo 2022-2023. L’Italia è un mercato importante per Airbnb” si spiega in una nota. La società pagherà, complessivamente, 576 milioni di euro, di cui circa 353 milioni per le ritenute dovute e non versate, 174 milioni a titolo di sanzioni amministrative per le violazioni commesse e 49 milioni di interessi. L’importo è stato determinato in seguito alla ricostruzione della base imponibile su cui la società avrebbe dovuto applicare la ritenuta del 21% come verificato dagli investigatori della Guardia di finanza.

L’inchiesta e le sentenze – La Guardia di Finanza di Milano, dopo l’indagine della procura, aveva notificato il sequestro nei confronti. Al centrodella vicenda, una legge del 2017 su cui da anni era in corso una battaglia legale tra l’Agenzia delle Entrate. La norma prevede che le piattaforme facciano da sostituto d’imposta per gli host – i cittadini non professionisti che mettono le loro case a disposizione per affitti brevi sul sito – trattenendo, e poi versando, il 21% sui guadagni che i titolari delle case sono tenuti a pagare al fisco appunto la cosiddetta cedolare secca. Airbnb, incassa infatti solo quelle degli host professionali e le tasse di soggiorno (che versa ai Comuni), mentre tiene per sé i costi del servizio trasmettendo gli utenti il loro margine e fornendo l’elenco di tutti i movimenti per la dichiarazione dei redditi.

La norma italiana era stata impugnata da Airbnb davanti al Tar e poi il Consiglio di Stato aveva coinvolto la Corte di giustizia dell’Ue che a dicembre ha stabilito che l’Italia può chiedere alle piattaforme di raccogliere informazioni e dati sulle locazioni effettuate, e soprattutto di applicare la ritenuta alla fonte prevista dal regime fiscale nazionale, ma ha dato ragione ad Airbnb sulla parte relativa all’obbligo di designare un rappresentante fiscale, giudicata “una restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi”. Ed è proprio in base a quel verdetto che le indagini sono proseguite e sono stata chiuse.

La posizione di Airbnb – “L’accordo di oggi – continua Airbnb – significa che possiamo concentrarci nella continuazione della nostra collaborazione con le autorità italiane in materia di tasse, regole per le locazioni brevi e turismo sostenibile, a vantaggio degli host e degli ospiti. Ci sono migliaia di host in Italia. Oltre tre quarti di loro hanno solamente un annuncio; l’host tipico ha guadagnato l’anno scorso poco più di 3,5001 euro. Circa un due terzi (59%) ha dichiarato che i proventi realizzati ospitando gli consente di arrivare a fine mese. Il 15% afferma di lavorare nella sanità, l’educazione o la pubblica amministrazione. La gran parte degli host su Airbnb in Italia sono persone comuni che si affidano alla piattaforma per integrare il proprio reddito familiare. Auspichiamo che l’accordo con l’Agenzia delle Entrate e le recenti novità normative possano fare chiarezza sulle regole riguardo gli affitti brevi per gli anni a venire”.

Airbnb spiega che “nell’ottobre 2023, il Governo italiano ha presentato la legge di bilancio per il 2024 che, nella sua versione attuale, chiarisce come le piattaforme dovrebbero effettuare in futuro la ritenuta delle imposte sul reddito degli host non professionali in Italia. Abbiamo accolto con favore questa proposta normativa e ci stiamo preparando ad adempiere, con l’introduzione di un meccanismo di trattenuta e versamento delle imposte sui redditi degli host rilevanti all’Agenzia delle Entrate”.

Le nuove norme – Airbnb sta inoltre lavorando per conformarsi a DAC7, la normativa quadro europea sulla trasmissione dei dati fiscali da parte delle piattaforme digitali. “Queste regole – spiega Airbnb – sono pensate per permettere alle autorità nazionali di raccogliere le tasse dovute supportando al contempo un sistema di trasmissione dei dati coerente e standardizzato. Abbiamo già informato gli host italiani di come questi cambiamenti si rifletteranno sulla loro attività tramite Airbnb e continueremo a chiedere loro le informazioni previste da DAC7 prima che queste vengano condivise con l’Autorità fiscale in Irlanda (dove Airbnb Ireland ha la propria sede) nel gennaio 2024, e successivamente all’Agenzia delle Entrate”. Airbnb accoglie con favore anche i progressi in materia di regole per gli affitti brevi, compresa la creazione di un sistema di registrazione nazionale in Italia e il quadro europeo di condivisione dei dati. “Questi progressi renderanno più semplice per i centri storici come quelli di Venezia e Firenze comprendere chi ospita e quanto a lungo, consentendo di sviluppare politiche pubbliche proporzionate al fenomeno. L’azienda è determinata a collaborare con leautorità italiane per il successo di queste regole” conclude la nota della piattaforma.

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