Dopo la retrocessione al 44esimo posto nella classifica delle performance climatiche tra i principali Paesi del pianeta arrivata in pieno svolgimento della Cop 28 di Dubai, l’Italia si trova davanti a un’altra resa dei conti: nel 2022 sono più che raddoppiati i sussidi alle fonti fossili, mentre le rinnovabili sono ferme. Nel 2022, con il governo Draghi, il Paese ha speso 94,8 miliardi di euro in attività, opere e progetti connessi direttamente e indirettamente alle fonti fossili, ma anche per il sostegno non strutturale e basato su politiche climalteranti a imprese e famiglie, con i decreti per l’emergenza bollette causata dalle speculazioni sul gas prima e, poi, dall’aggressione militare russa in Ucraina. E con il Governo Meloni non va certo meglio. È quanto emerge dal report ‘Stop sussidi ambientalmente dannosi’ di Legambiente, che analizza le spese ambito per ambito. “Il Governo Meloni sta dimostrando di preferire una transizione energetica basata sul gas fossile piuttosto che su un nuovo sistema basato su prosumer, autoproduzione, reti smart, accumuli, grandi impianti industriali a fonti rinnovabili e comunità energetiche” spiega Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, che chiede un atto di coraggio. “L’Esecutivo preveda la rimodulazione e la cancellazione di questi sussidi entro il 2030, modifichi sia il decreto sulle aree idonee, perché rischia di bloccare lo sviluppo delle rinnovabili, che quello ‘energia’ con cui sono dichiarati ‘di pubblica utilità, indifferibili e urgenti’ i rigassificatori a terra, a causa dei quali nei prossimi decenni continueremo ad acquistare sempre più gas liquefatto dall’estero, con buona pace dell’obiettivo di decarbonizzazione entro il 2050”.

Tra energia e trasporti più di 72 miliardi di euro – Il settore energia si conferma quello più sussidi con 52,2 miliardi di euro, seguito dal settore trasporti con 20,5 miliardi di euro. In due anni, tra il 2022 e il 2023, prima dal Governo Draghi e poi da quello Meloni sono state almeno 84 le azioni messe in campo “attraverso ben 12 decreti emergenziali e le leggi di bilancio 2022 e 2023 che hanno stanziato complessivamente 79,9 miliardi di euro in sussidi alle fonti fossili nei settori energia e trasporti”. Tra gli altri settori c’è anche quello edilizio che, tra detrazioni fiscali, Iva agevolate, deduzioni Irpef e crediti d’imposta, conta 17 miliardi di euro di sussidi ambientalmente dannosi. “Troppo timide, invece, le politiche di eliminazione e rimodulazione dei sussidi attivati fino ad ora” si spiega nel report. A fronte dell’eliminazione di appena 6 voci nel 2022, pari a 193 milioni di euro, sono 53 le voci in più introdotte solamente per far fronte all’emergenza energetica per una spesa totale di 51,2 miliardi di euro. Preoccupa anche il bilancio degli ultimi 12 anni: sono stati spesi 308 miliardi di euro. Cifre destinate a restare elevate anche per il 2023 se si considera che, secondo le prime analisi di Legambiente, i sussidi salirebbero di ulteriori 27,4 miliardi di euro. “Risorse stanziate sempre per far fronte all’emergenza energetica, e sulla quale dopo tre anni di bollette alte per imprese e famiglie non si vede ancora nessuna politica strutturale” spiega l’associazione. A queste si aggiungeranno sussidi a sostegno delle lobby delle fossili, come il Capacity Market, mentre il Governo è impegnato, proprio per fare cassa, a varare nuove tasse proprio sugli impianti a fonti rinnovabili, con una spesa aggiuntiva di 10 euro a chilowatt per gli impianti di potenza superiore a 20 kW, e che rischiano di colpire anche le comunità energetiche rinnovabili. Per una comunità energetica rinnovabile che investe su un impianto da 1 megawatt significa un aggravio di 10mila euro. Nel report, Legambiente dedica anche un focus alle caldaie. In Italia gli incentivi alle caldaie a gas rappresentano uno dei principali ostacoli alla decarbonizzazione dei sistemi di riscaldamento. Tra il 2020 e il 2021 sono state installate circa 300mila caldaie in più e nel 2021 più dell’80% delle installazioni è stata effettuata con un supporto statale. Nel 2022 i numeri di installazioni complessive sono in crescita con 1,13 milioni di caldaie a gas sulla cui realizzazione Legambiente stima circa 3,2 miliardi di euro di sussidi da parte dello Stato.

I sussidi alle fossili eliminabili (che non vengono eliminati) – “Eppure – scrive Legambiente – ben 18,86 miliardi di euro di sussidi si possono eliminare entro il 2025. A questi vanno aggiunti 8 miliardi di euro di sussidi emergenziali e che comprendono sussidi alle trivellazioni, agevolazioni per il diverso trattamento fiscale tra benzina gasolio, GPL e metano, il Capacity Market e il supporto per l’installazione di nuove caldaie a gas”. Numeri che per l’associazione ambientalista darebbero al Paese ampio respiro per intervenire nello stesso settore energetico o in altri con misure strutturali che potrebbero scongiurare una crisi sociale “visto che secondo i numeri della Banca d’Italia, oltre il 60% delle famiglie che vive in questo Paese, già nel 2021, non arrivava a fine mese”. Sette le proposte che l’associazione presenta al Governo. Tra queste, l’inserimento nel Pniec di un percorso concreto che porti entro il 2025 alla rimodulazione e cancellazione di tutti i sussidi ambientalmente dannosi entro il 2030, l’aggiornamento annuale del catalogo dei Sad e la riforma di accise e tasse sui diversi combustibili fossili, in modo che il costo finale medio annuale sia progressivamente proporzionale alle emissioni di gas serra (CO2 equivalente) generate nella loro combustione, secondo il principio “chi inquina paga”.

Le rinnovabili ferme al palo – Dall’altra parte, in continuità con quelli precedenti, il Governo Meloni continua a fare molto poco per agevolare la diffusione e lo sviluppo delle rinnovabili frenate da ritardi negli iter burocratici, mancate semplificazioni e no delle sovrintendenze”. Ad oggi sono almeno 1.400 i progetti in valutazione al ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, tra valutazione impatto ambientale, progetti legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza e Piano nazionale integrato energia e clima, verifiche di ottemperanza. “Tra questi, il più vecchio risulta essere il progetto di eolico off shore presentato nel Golfo di Manfredonia nel lontano 2008 – racconta il report – e che da allora ha avviato tre modifiche di progetto riducendo il numero di torri dalle iniziali 100, a 65 e poi 50”. Oggi, dopo 15 anni dovrebbe essere, secondo quanto riportato sul portale del Mase, alla firma del ministro. Un impianto che, nonostante la riduzione del numero delle torri, trova l’opposizione del Comune di Manfredonia che ha richiesto, nell’ultima versione presentata alla Capitaneria nel 2018 la sospensione del progetto in attesa di una pianificazione territoriale e regionale.

twitter: @luisianagaita

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