Manca ancora l’accordo ufficiale, anche se potrebbe arrivare in nottata. Obiettivo: arrivare a un testo condiviso e condivisibile che metta insieme posizioni finora rimaste inconciliabili. Alla Cop 28 di Dubai è una giornata lunga complessa: frustrante l’eredità dell’ultima bozza del Global Stocktake, il bilancio globale delle azioni intraprese dall’Accordo di Parigi e da intraprendere per rispettarlo e restare sotto la soglia di riscaldamento globale di 1,5° Celsius. Le consultazioni andranno avanti fino a notte fonda e, forse, in mattinata ci sarà una plenaria alla quale la presidenza spera di arrivare con un accordo. Sono 127 i Paesi che chiedono l’uscita dai combustibili fossili e hanno presentato al presidente della conferenza delle Parti, Sultan Al-Jaber, un ‘paper’ con le modifiche all’ultima bozza pubblicata lunedì, in particolare su tre punti: uscita dai combustibili fossili (phase-out), finanza e misure sugli aiuti. Perché i fondi mancano su tutto. Per le perdite e i danni, adattamento, ma anche per il sostegno ai Paesi poveri che oggi non possono permettersi di affrontare da soli una transizione verde. Facile intuire che il tema della finanza climatica sia fondamentale per queste nazioni, ancor più per quelle vulnerabili rispetto ai cambiamenti climatici e per i Paesi in via di Sviluppo che, però, ad oggi includono anche potenze come la Cina e petro-Stati. All’uscita dai combustibili fossili si oppongono Arabia Saudita, ma anche altri Paesi, come Iran, Iraq, Kuwait, Russia e altri ancora. La posizione dell’Italia? Mentre il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Pichetto Fratin ha lasciato Dubai proprio al rush finale (insieme al ministro britannico Graham Stuart), l’ha spiegata direttamente alla Camera la premier, Giorgia Meloni: “L’Italia è protagonista della Cop28 e sostiene la transizione energetica, a patto che non comporti una deindustrializzazione nazionale”. Dichiarazioni che rendono l’idea di quanto possa essere difficile trovare l’accordo per l’uscita dai combustibili fossili a Dubai, Emirati Arabi. Anche se l’inviato Usa per il clima, John Kerry, ha parlato di progressi nelle ultime ore.

L’amara eredità dell’ultima bozza – E così, quella che sarebbe dovuta essere l’ultima giornata di Cop, è stata complessa e frustrante. Più volte si è pensato che non ci fosse alcuna speranza di trovare un accordo. I capi delegazione si sono incontrati fin dalle prime ore del mattino e tutto è andato avanti in salita, perché sul tavolo c’era una bozza definita da più parti “deludente” e “offensiva. Nel documento si invitano le Parti “a intraprendere azioni che potrebbero includere, tra l’altro” e poi via con le azioni, indicate come facoltative, in barba a impegni chiari e vincolanti. Per i combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) non si parla né di phase down, né phase out, che pure compariva tra le varie opzioni contenute nelle bozze di testo dei giorni precedenti. Si scrive “reducing”, riduzione graduale (e non eliminazione graduale) del consumo e della produzione di combustibili fossili “in modo giusto, in modo ordinato ed equo così da raggiungere lo zero netto entro, prima o intorno al 2050 in linea con la scienza”. Persino per la riduzione del carbone ci sono diversi limiti: è vero che si menziona una riduzione “rapida”, ma solo della produzione le cui emissioni non si possono abbattere con l’utilizzo di tecnologie di cattura dell’anidride carbonica derivante dalla combustione, prima che raggiunga l’atmosfera. E questo vale anche per le limitazioni alle nuove autorizzazioni. Per il carbone, inoltre, non c’è alcun riferimento temporale.

La fermezza dell’Arabia. Che non è sola – Nonostante questo, però, il principale ostacolo a un accordo rimane la fermezza con cui l’Arabia Saudita sta rifiutando di inserire nel bilancio il phase-out dai combustibili fossili. La stessa di India e Cina, quando, alla Cop 26 del 2021, chiesero di modificare il testo finale passando agli sforzi di accelerazione verso “l’eliminazione graduale del carbone” in sforzi per la “riduzione graduale dell’energia a carbone” con emissioni che non si possono abbattere. L’Arabia Saudita è la più grande nazione produttrice di petrolio del mondo, con quasi un quinto delle riserve mondiali. Ma il leader dell’Opec non è solo. Contro l’uscita dai combustibili fossili ci sono Iran, Iraq, Kuwait, Russia. Diversi i ministri arabi che in queste ore hanno criticato con forza la proposta di un’uscita graduale dai combustibili fossili. Il ministro del petrolio kuwaitiano Saad al-Barrak ha definito la pressione un “attacco aggressivo”, accusando i paesi occidentali di cercare di dominare l’economia globale attraverso le energie rinnovabili. Il ministro del Petrolio iracheno Hayan Abdel-Ghani, ha dichiarato che “i combustibili fossili rimarranno la principale fonte di energia nel mondo”. E ha aggiunto: “Come paesi arabi, produciamo questa energia, ma non siamo l’origine delle emissioni”. E anche la posizione del Qatar è quella di ridurre le emissioni e non eliminare le fonti di emissione, ovvero i combustibili fossili. Iran e Bolivia, dal loro canto, ricordano una drammatica verità: non si possono prescrivere le azioni da compiere ai Paesi, poiché l’accordo di Parigi si basa su un’azione volontaria. Ma dato che sul piatto non c’è solo l’uscita dai combustibili, ecco che ci sono una serie di Paesi che sono rimasti in attenta osservazione. Come la Cina, che non si è ancora pronunciata definitivamente ma che, insieme ad altri Paesi del gruppo G77+Cina (sono 135 nazioni), come India, Pakistan, Brasile e Cuba, sono molto interessati a capire quali passi faranno i Paesi industrializzati sul piano delle responsabilità storiche delle emissioni e dell’aiuto alle nazioni più povere. Una questione annosa, che rimane come sfondo anno dopo anno, ma che è lontana da una soluzione, perché sostanzialmente non pare ci sia, in primis da parte degli Stati Uniti ma anche degli altri Paesi industrializzati, alcuna volontà di ‘accollarsi’ concretamente questa responsabilità.

I Paesi che sostengono il phase out dai combustibili fossili sono passati da 80 a 127 – A spingere verso l’eliminazione dei combustibili fossili, però, ci sono anche gli Stati Uniti e l’Unione europea. E si tratta di un’alleanza di 127 Paesi (lo scorso anno erano ottanta), anche i 46 Paesi in via di sviluppo (fra cui molti africani) e i piccoli stati insulari, più vulnerabili rispetto agli effetti del cambiamento climatico. Tra i primi, per esempio, anche il Bangladesh, tra gli stati insulari le isole Samoa e le isole Marshall (“Non siamo qui per firmare la nostra condanna a morte”). Anche per i Paesi dell’America latina e del gruppo caraibico Ailac il testo pubblicato lunedì era insufficiente per mantenere il riscaldamento globale sotto gli 1,5°C. E poi ci sono Regno Unito, Australia e Norvegia. Tutti hanno interessi (e contraddizioni rispetto alle dichiarazioni ufficiali), soprattutto nel petrolio e nel gas, ma per tutti il linguaggio delle azioni che si “potrebbe compiere” è troppo poco ambizioso, così come quello della “riduzione” graduale dei combustibili fossili. “Vogliamo che questa Cop segni l’inizio della fine dei combustibili fossili e spinga per questo, insieme con i nostri partner High Ambition coalition, Aosis e Umbrella Group (che comprende Stati Uniti, Regno Unito, Norvegia e Australia)” ha dichiarato su X il commissario europeo al Clima Wopke Hoekstra. Per i Paesi più vulnerabili e in via di sviluppo resta una priorità, più che per quelli ricchi, anche la mancanza di finanziamenti. Per tutto: perdite e danni, adattamento e anche per il sostegno verso una transizione verde che non possono permettersi. L’anno prossimo si dovrà concordare un importo maggiore per il nuovo ciclo di finanziamenti da mobilitare (quello da 100 miliardi di dollari all’anno dal 2020 al 2025, promesso nel 2009 a Copenaghen e finora mai ufficialmente raggiunto). I paesi ricchi vorrebbero rinviare la discussione al 2024, mentre i paesi in via di sviluppo vogliono nero su bianco più certezze su importi e mezzi di attuazione. Per loro la Cop 28 potrebbe chiudersi con l’ennesima (doppia) delusione.

twitter: @luisianagaita

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Cop 28 si chiude con un testo storico: per la prima volta si parla dell’uscita dai combustibili fossili. Ma nei fatti zero progressi sull’addio al carbone | L’analisi

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