Da qualche settimana le testate nazionali sono infestate dalla notizia che il governo d’Italia ha finalmente estratto dal cilindro la grande Riforma d’Italia che, una volta approvata, farà dell’Italia una grande nazione efficiente: il Premierato d’Italia. Motivo? Correggere l’architettura malriuscita del parlamentarismo italiano, che troppo spesso ha favorito la caduta di governi. In realtà chiunque abbia dedicato all’argomento un approfondimento ulteriore rispetto ai grugniti sconnessi esternati in proposito dai brillanti componenti del governo d’Italia, si sarà reso conto di alcune circostanze che fanno a pugni con tale tesi. Per esempio:

– Il “premierato” concepito dal governo d’Italia è un unicum sul piano internazionale. In genere questo può significare solo due cose: o è un’idea geniale e rivoluzionaria oppure è una cavolata. Il tempo ci dirà quale delle due opzioni sia quella giusta. Certo, per citare Cavour, “i cupi cervelli” che hanno partorito questa riforma costituzionale non avevano le idee chiarissime: da un lato hanno previsto l’elezione diretta del capo del governo. Dall’altro però lo stesso governo deve avere la fiducia del Parlamento: se non la ottiene, non si forma il governo, in barba alla volontà popolare.

Nei paesi che hanno adottato il (semi)presidenzialismo, in cui è prevista l’elezione diretta del capo dello stato che è anche capo dell’esecutivo quest’ultimo non dipende dall’approvazione del parlamento. Per forza: ha già ricevuto l’investitura popolare! Mica si può dire all’elettorato: bene, voi avete scelto, adesso però decide il parlamento se questa persona va bene o no. Invece è proprio questo che hanno concepito i grandi Strateghi d’Italia.

– Il parlamentarismo, ovvero l’attuale sistema in cui il capo del governo non è eletto dalla popolazione, ma è il parlamento che da’ e toglie la fiducia al governo, è adottato da molte democrazie in giro per il mondo come il Regno Unito o i Paesi Bassi che non hanno, per questo motivo, avuto 68 governi dal 1945 ad oggi. In alcuni di questi paesi, segnatamente la Germania, è presente un importante correttivo: solo il capo del governo (il Bundeskanzler) deve ottenere la fiducia del parlamento, non l’intero governo. In questo modo la figura del Kanzler viene considerevolmente rafforzata, poiché ha sostanzialmente carta bianca sui ministri. In teoria potrebbe cambiarli tutti senza aver bisogno di una nuova fiducia. Il Premierato d’Italia non prevede nulla di tutto ciò: la fiducia continua ad essere espressa nei confronti del governo nella sua interezza. Quindi se uno dei partiti della coalizione di governo fa saltare il tavolo e ritira i ministri, il governo può cadere tanto quanto può cadere oggi.

Ma gli artefici di questo prodigio dell’architettura costituzionale si saranno chiesti perché cadono i governi? D’accordo, le cause sono senz’altro innumerevoli e diverse da caso a caso. Però ci sono anche alcuni sicuri punti fermi. Ad esempio, uno da una rapida scorsa alle ultime 4-5 puntate di Report e si rende conto di quanto sia dilagante la piaga del conflitto di interessi a tutti i livelli dell’amministrazione locale, regionale e statale: parlamentari che curano gli interessi di aziende di cybersicurezza, sindaci che gestiscono immobili storici della propria città in concessione tramite le proprie attività imprenditoriali private, assessori che fanno costruire call center improbabili, ministri che riesumano progetti anacronistici di grandi opere per evitare nuove gare d’appalto, giunte regionali che smantellano la sanità pubblica a beneficio di imprenditori privati… e via dicendo fino ai conflitti d’interesse più sfigati, tipo far fermare treni.

Quando un eletto diventa – magari anche in buona fede – ricattabile perché invece di fare gli interessi dell’ente che governa fa quelli suoi o dei suoi amici, il governo traballa e spesso cade. E’ un fatto talmente matematico e basilare, che nei paesi seri il livello di guardia è infinitamente più alto. Qualche mese fa in Germania emerse che il segretario di stato all’energia, Patrick Graichen, aveva partecipato all’elezione del suo testimone di nozze Michael Schäfer alla carica di amministratore dell’agenzia statale dell’energia (Deutsche Energie-Agentur), senza aver prima rivelato la circostanza. Travolto dalle critiche, non solo Schäfer è stato costretto a rinunciare all’incarico, ma anche Graichen è stato destituito dal ministro dell’Economia Robert Habeck. Inutile specificare cosa accadrebbe in Italia in un caso di questo genere. Ricorda un po’ una vignetta apparsa anni fa sull’affaire Strauss-Khan: “Signor Schäfer, lei ha rapporti personali troppo stretti con il segretario Graichen, dunque non può fare l’amministratore dell’agenzia dell’energia. In compenso potrebbe fare il ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare in Italia!”.

Naturalmente ai brillanti legislatori d’Italia non viene neanche in mente di metter mano al conflitto d’interessi. Molto meglio concentrarsi sull’ennesima proposta di riforma costituzionale scritta coi piedi e di cui già ora si dice che non sarà mai approvata. O no? In fondo, il governo in Italia è un po’ come il clima: ci sono annate migliori e annate peggiori, ma nel complesso la curva è chiaramente discendente e votata al disastro. E’ grande la tentazione di pensare che quello attuale sia, senza dubbio, il peggior governo di sempre, da tutti i punti di vista. Ma, come diceva Jerzy Sturovsky ne Il Caimano, “Ogni volta noi pensiamo che voi italiani avete finalmente toccato il fondo e invece no, state lì che scavate, scavate, scavate e andate ancora più giù, più giù… raschiate.”
Pare impossibile, ma potrebbe andare anche peggio.

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