L’atteso Ecofin straordinario sulla riforma del Patto di stabilità rischia di finire come da copione con un nulla di fatto. A due giorni dalla cena di lavoro del 7 dicembre che precederà il vertice dei ministri delle Finanze, Giancarlo Giorgetti ufficializza di essere pronto a votare no all’ipotesi di accordo attualmente sul piatto. “Su deficit e debito la risposta è la serietà: significa prendersi impegni che si possono mantenere. Di fronte a delle regole sfidanti noi in qualche modo possiamo anche accedere, ma rispetto a regole impossibili da mantenere io non credo per serietà si possa dire di sì”, ha detto il titolare del Mef in audizione alle commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato. “Le regole precedenti sono peggiori? Dico sì”, ha ammesso, “ma non è che possiamo accettare tutto quello che viene proposto. E siccome siamo assolutamente convinti della ragionevolezza della nostra posizione – perché non è che siamo andati lì come i matti – non ci si può chiedere di andare non semplicemente contro l’interesse dell’Italia ma a nostro giudizio anche contro gli interessi dell’Europa”.

La trattativa sulla nuova governance economica europea “non ha finora portato alla definizione di un quadro condiviso” e “il negoziato si è fatto più complesso sia per le esigenze degli Stati membri con bassi livelli di debito pubblico, che temono una riforma che possa lasciare uno spazio eccessivo all’espansione dei deficit di bilancio, sia per le evoluzioni politiche che hanno portato in alcuni Paesi a cambi di maggioranze di governo”, ha spiegato Giorgetti. Pesano anche “i possibili effetti sui bilanci delle pronunce di costituzionalità che potrebbero creare difficoltà ad accettare quelle che appaiono ai rigoristi come regole troppo permissive in materia di deficit”. Chiaro riferimento alla sentenza della Corte costituzionale tedesca che ha cassato la prassi di mettere a bilancio fondi non spesi utilizzandoli con un altro fine nell’anno successivo.

Il punto fermo, per l’Italia, è che “la sostenibilità delle finanze pubbliche non può essere raggiunta attraverso percorsi di aggiustamento eccessivamente rigorosi, perché questo danneggia i fondamentali di crescita e peggiora la dinamica del debito nel medio e lungo periodo”. Il governo “intende ridurre il debito in maniera realistica, graduale e sostenibile nel tempo, in un assetto che protegga e incentivi gli investimenti. Conclusivamente ritengo che le regole fiscali e di bilancio non siano il fine ma il mezzo“. Il fine deve essere “la sostenibilità finanziaria, l’effettiva capacità di difesa del sistema di valori di libertà occidentali, la transizione ecologica che garantisca la sostenibilità ambientale. Il mezzo è un sistema di regole fiscali coerenti con queste finalità strategiche e che ne consentano la realizzazione”. Per questo Roma chiede almeno che gli investimenti per la transizione verde non vengano computati nel debito. E ha posto “come condizione imprescindibile che la nuova governance economica dia sufficiente spazio agli investimenti per la transizione digitale ed ecologica e, nel primo ciclo di applicazione delle nuove regole, consenta a Paesi quali l’Italia, che hanno concordato ambiziosi Piani di Ripresa e Resilienza, di poter accedere all’estensione del periodo di aggiustamento a sette anni. Ciò senza l’imposizione di ulteriori condizionalità, ma solamente in base all’impegno dello Stato membro a continuare lo sforzo di riforma e di investimento intrapreso con il Pnrr”.

Commentando le ipotesi sull’aggiustamento che potrebbe essere richiesto ai Paesi ad alto debito, Giorgetti ha sottolineato che “il rapporto debito/Pil si riduce con la crescita, al massimo con la minore spesa per interessi. Nelle nostre proiezioni la riduzione del debito sul Pil già dall’anno prossimo potrebbe aggirarsi intorno all’1%, ma c’è il peso del superbonus. La riduzione del debito pubblico dell’1% annuo non fa paura all’Italia ma deve iniziare quando i fumi del superbonus si diradano”. Conclusione: Roma è disposta “a ricercare una soluzione che non sovrapponga ai vincoli ricordati (spesa e debito) ulteriori regole stringenti che potrebbero riproporre, se non addirittura complicare, uno schema che ha mostrato limiti e che le stesse istituzioni europee hanno dichiarato di voler superare”. Il rischio “è che venga fuori un sistema totalmente incomprensibile a noi addetti ai lavori ma soprattutto all’opinione pubblica. Invece penso che bisogna trovare regole trasparenti e semplici, facili da comprendere”.

In serata una posizione non troppo distante da quella di Giorgetti è stata espressa dal ministro francese dell’Economia, Bruno Le Maire, tornato a promuovere una maggiore flessibilità per quelle che saranno le future regole di bilancio. Per Le Maire, che fu tra i principali artefici del piano di rilancio europeo durante la pandemia è più che mai necessario che il risanamento dei conti pubblici dei singoli Stati membri possa coniugarsi con i necessari investimenti, piuttosto che sull'”austerità”.

Reazioni – “Giorgetti sta tentando di far capire che l’Europa ha bisogno di investire sullo sviluppo puntando sugli investimenti. Gli investimenti sulla difesa e sulle tecnologie green sono investimenti per lo sviluppo e non devono essere conteggiati tra le regole per la Stabilità”, commenta il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. “L’audizione del ministro Giorgetti rafforza le nostre preoccupazioni sulla riforma del Patto di stabilità. L’Italia dovrebbe avere forza e autorevolezza per guidare le trattative, non certo subirle come invece sta accadendo. Da quello che Giorgetti dice comunque vada sarà un insuccesso”, afferma il deputato del M5S Filippo Scerra, intervenuto nel corso dell’audizione del ministro dell’Economia alla Camera.

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