Trattative serrate sulla riforma del Patto di stabilità. Una svolta sembra possibile, ma al momento un accordo ancora non c’è, mentre corre il conto alla rovescia verso fine anno. Se non si raggiunge un accordo sulle nuove regole, dal primo gennaio tornerà il vecchio Patto, sospeso a inizio pandemia. L’esame della Commissione sulle manovre 2024 presentate sarà dunque un appuntamento importante, che vedrà finire sotto la lente la crescita della spesa primaria netta, il ritiro delle misure di sostegno all’energia e gli investimenti pubblici finanziati a livello nazionale, come ha ribadito il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni.

In questo scenario si inserisce la due giorni di riunioni di Eurogruppo ed Ecofin, dove i ministri cercheranno una sintesi politica sul Patto, per poter varare entro fine anno il testo legislativo e procedere quindi nei negoziati con il Parlamento europeo. Apparentemente l’idea di tutti è che si possa lavorare sul documento messo a punto dalla presidenza di turno dell’Ue, la Spagna. Così com’è non va ancora bene ma è una buona base. Persino per l’Italia, che continua a chiedere regole capaci di non sacrificare gli investimenti strategici sull’altare del rigore.

Il negoziato prosegue aggiornando e limando di volta in volta il testo che Madrid ha definito un punto di approdo (‘landing zone’) e ha continuato ad aggiornare. Anche dopo le rivendicazioni della Germania sui tagli al debito inderogabili e le proteste della Francia su ipotetici parametri uguali per tutti. Alla fine il testo di lavoro spagnolo si è arricchito di garanzie (“salvaguardie”) sul calo di debito e deficit, come chiesto dai Paesi frugali, aprendo a eccezioni di spesa sulla difesa ma non sugli investimenti strategici. Al momento invece sulla flessibilità per gli investimenti si prevede solo che il Pnrr vada a garantire nella fase iniziale di poter automaticamente ottenere l’estensione da 4 a 7 anni dei piani di spesa al centro delle nuove regole. Non c’è insomma una ‘golden rule’ sulla spesa.

Per mettere a posto i conti pubblici invece, si prevede che i piani di spesa che gli Stati andranno a concordare con la Commissione europea mettano il debito decennale in un percorso discendente portando il deficit sotto il tetto del 3% del Pil. Una schiarita importante con la Germania è stata raggiunta inserendo un “margine di sicurezza” ulteriore sul deficit cui puntare una volta eseguiti gli aggiustamenti del debito: nel medio periodo il traguardo del deficit pubblico non dovrà solo scendere sotto il tetto del 3% del Pil ma a un valore ancora inferiore, ancora tutto da negoziare.

L’altro nodo sarà la richiesta agli Stati sovra-indebitati (con un debito oltre il tetto del 60% del Pil previsto dai trattati) di sottoporre piani di spesa che garantiscano alla fine del periodo di aggiustamento un calo del debito di “una media annua minima”. In pratica gli Stati decidono come e dove spendere, ma il risultato nell’arco dei piani di 4-7 anni dovrà essere un calo del debito quantificabile. E visto che si prevede un principio di non dilazione (“no backloading”) dell’aggiustamento fiscale, precisando che sarà “lineare”, nei fatti sarà necessario un taglio annuale del debito.

All’Eurogruppo è arrivato poi un nuovo appello all’Italia per la ratifica del Mes. “E’ davvero fondamentale che entro la fine dell’anno tutti i Paesi” lo abbiano ratificato, ha detto il direttore generale Pierre Gramegna, “in modo che il backstop comune (un paracadute per eventuali crisi bancarie ndr) possa entrare in vigore all’inizio del prossimo anno. Ora è davvero il momento in cui dobbiamo realizzare e garantire che in questi tempi incerti e di volatilità abbiamo questo ulteriore livello di protezione e sarebbe un peccato perdere questa opportunità”.

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