Sono giorni di gloria sui mercati per l’oro, quello vero, per quello che qualcuno si diverte a definire oro digitale, ossia il bitcoin. La più celebre tra le valute digitali ha superato i 42mila dollari, portando il rialzo da inizio anno al 150% e ritrovando i valori dell’aprile 2022. Si giocherà al fotofinish il premio come miglior asset del 2023. Il bitcoin “risucchia” verso l’alto anche i fratellini. L’Ether ha guadagnato dallo scorso gennaio l’84%, il Dogecoin il 22%. L’ottimismo sulle criptovalute deriva dal fatto che potrebbero essere a breve autorizzati Etf a loro dedicati di grossi gruppi finanziari. Un fattore che contribuirebbe ad aumentare la base degli investitori. E poi ci sono le scommesse sulla fine della stretta monetaria e su riduzione dei tassi a venire. Ciò farebbe di nuovo aumentare la liquidità sui mercati a beneficio di tutti gli investimenti, valute digitali incluse. Tra le ragioni tecniche viene inoltre citato il fatto che, nel 2024, è previsto il cosiddetto dimezzamento che ridurrà della metà la quantità di token che i “minatori di Bitcoin” ricevono come ricompensa per il loro lavoro di produzione della criptovaluta. Appuntamento quadriennale che fa parte del processo di limitazione dell’offerta di Bitcoin a 21 milioni di token. La moneta digitale ha raggiunto record dopo ciascuno degli ultimi tre dimezzamenti.

E veniamo all’oro che luccica. Ha appena stabilito un nuovo record a 2.135 dollari l’oncia (31,1 grammi) e ora si scambia a 2072 dollari. Il guadagno degli ultimi due mesi è del 13%. Si tende ad associare i lingotti a bene rifugio per eccellenza, sebbene questa regola si sia un po’ appannata in tempi recenti. Neppure ora, pur tra crescenti tensioni internazionali, sembra essere questa la ragione dell’exploit. Un dollaro piuttosto debole aiuta (le quotazioni sono espresse nella valuta Usa e quindi tendono fisiologicamente a salire quando questa si deprezza rispetto alle altre monete). Qualcuno ipotizza che alla base degli aumenti delle quotazioni ci sia una pressione sulla domanda da parte di banche e centrali e di consumatori facoltosi in crescita, soprattutto in India.

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