Enea è nigeriano, e porta suo padre Anchise sulle spalle mentre fugge dalla morte e cerca salvezza e futuro oltre il mare. Comincia con un chiaro rimando all’immagine virgiliana della fuga da Troia dell’eroe fondatore di Roma I Carried My Father Across the Sea, poemetto in tre parti del poeta nigeriano Gbenga Adesina. A nutrire i suoi versi, come racconta lo stesso Adesina in un’intervista apparsa sulle pagine del Guardian Nigeria nell’ottobre del 2022, sono le storie che vede attorno a sé: “Sono prima un essere umano, e poi un poeta. La mia poesia è un’estensione della mia umanità. […] Mettere la propria arte al servizio dell’uomo significa accogliere l’uomo con il suo carico di vita vissuta, essere quindi umani nel senso più profondo del termine, e dunque vulnerabili, sentirsi parte di una sequenza di destini connessi tra loro. Non distogliere lo sguardo, rifiutarsi di dimenticare; dare voce a chi non ha voce”.

Nei versi di questo poemetto, Adesina parte dalla sua esperienza personale per narrare la storia di ogni uomo che migra. Il mito dell’origine, della terra nativa, della casa come luogo di appartenenza sono centrali nella sua opera. “Il mio viaggio di migrazione – racconta – è legato a doppio filo alla morte di mio padre. La partenza dal mio paese d’origine è coincisa con la sua dipartita. E anche la sua morte l’ho pensata come una sorta di viaggio, una specie di partenza. La sua scomparsa ha cambiato radicalmente la natura della nostra casa, la natura del matrimonio dei miei genitori e la tenerezza della loro unione. Il poemetto è dunque un dramma visivo in cui mio padre esala l’ultimo respiro e mia madre resta attaccata alla sua poesia. L’opera dipinge anche il modo in cui la madrepatria può provare a rimanere attaccata al corpo del suo figlio prediletto dicendogli ‘tu sei mio, non lasciarmi mai’”. Ma quel “figlio” a un certo punto diviene migrante ed è costretto a lasciarsi alle spalle le persone che ama per raggiungere un mondo pieno di incertezze.

Nel poemetto c’è un uomo in punto di morte, le promesse del suo corpo si stanno sgretolando davanti ai nostri occhi, e la sua compagna di vita combatte disperatamente per salvarlo, per salvare il suo corpo che lei crede gli appartenga in virtù delle promesse d’amore – combatte per salvare queste promesse.

S. S.

[Le poesie che seguono sono state tradotte tra marzo e giugno 2023 dalle allieve e dagli allievi della 2a C dell’IC “Pagani” di Monterubbiano durante “Il traduttore in classe”, progetto che porta la traduzione tra i banchi di scuola, curato e diretto da Stella Sacchini].

***

Ho portato mio padre attraverso il mare

1.
Ho portato mio padre attraverso il mare
Era un bambino. Era morto.
Era la rachide di un’astrapia dalla lunga coda. Era una foresta

di lividi. Sulla faccia indossava una porta.
Indossava il completo nero

del suo matrimonio. La tasca quadrata
era ancora piena delle sue promesse.

Era leggero da trasportare,
perdeva i suoi pesi e le promesse come sangue.

Era carico
della responsabilità dei morti.

Che razza di figlio
lascia suo padre

incatenato alla paternità?
Lo sollevai sorreggendolo col mio corpo.

Misuravo la sua lunghezza con la mia.
I piedi che solcavano la sabbia, le ginocchia molli,

le sue braccia che stringevano i miei fianchi.
Col levarsi delle correnti, il colletto sul suo collo spezzato

brillava dentro il galleggiante.
Il taglio lasciato sulla sua testa dal bisturi del chirurgo

è diventato un alone, un segnale nel buio.
Ho messo il mio naso contro il suo.

Gli ho messo un dito in bocca.
Ho legato la flebo, ora una branchia umana, attorno alle nostre vite

e ho nuotato nella vena
dell’acqua.

“Guarda,” ha detto la sfinge tra le onde,
“un figlio che porta il padre”.

La morte non è silenzio.
È dove ti sento più chiaramente.

Che razza di figlio
lascia il corpo di suo padre

incatenato alla cupa lagnanza nel cuore della terra?
Ho portato mio padre sulla schiena.

Ho sentito il corroborante nel suo cuore ultraterreno
sulla pelle della mia spina dorsale.

Sulla faccia indossava una porta
che ha promesso di aprirmi.

Come sangue
perdeva le sue promesse.

2.
Promesse

Quando mio padre si è ripiegato

in sé stesso e le acque

dentro di lui hanno infranto le loro
promesse Lei

è avvizzita come la buccia di un frutto.
Si è avvolta in uno scialle nero. Lei,

mia madre, si è trascinata
al suo fianco, gli ha messo

l’orecchio sul petto. Ha detto: se un corpo
è tuo, tu

puoi sentire dove il silenzio
si strozza nella sua pelle. Lei,

mia madre, ha messo la bocca
sull’orecchio di mio padre,

ha detto chiamerò il tuo corpo,
che è mio, per nome,

tu tornerai da me.
Come può un corpo che un tempo hai esplorato

da un capo all’altro con la lingua
diventarti inaccessibile.

Quando lui, mio padre, ha chiuso gli occhi
e il respiro e il suo corpo è diventato

un ponte, si è lasciato alle spalle un viaggio e
loro lo hanno portato giù per le scale,

lei li ha rincorsi.
Ha gridato:

Il mio nome è
nella sua lingua. Ho bisogno di riaverlo indietro.

3.
Tredici modi di chiamare il corpo di mio padre

Il corpo di mio padre conosceva il piacere. Sapeva
di spine sulla carne.

Una volta in autobus un bambino mi ha sorriso, e ho capito
che era il corpo di mio padre.

Certi giorni il mattino è il corpo di mio padre.
Lo indosso come la solitudine.

Quando ballo e mi contorco da solo nel buio,
il corpo di mio padre si unisce a me. Porta la notte
come compagna di ballo.

Una volta, in una strada di New York, temendo per la mia vita
ho gridato a mio padre di restare dentro. Gli ho detto
di non uscire dal mio corpo.

Io sono la luce del mondo. Il corpo di mio padre è il mondo.

A volte, quando canto, una porta si apre e restituisce
il corpo di mio padre alla notte in cui è nato.
Fela Kuti che balla sul palco è il corpo di mio padre.

Tempo fa mi sono seduto accanto a un uomo in un giardino; il suo borbottio

era il corpo di mio padre.

Io amo la gazza. Ha il corpo di mio padre.

L’uomo che ti è seduto accanto è mio padre. È morto.
Il suo corpo è un sospiro.

Da dove vengo, la pioggia

porta a casa il corpo del padre.

Una volta, a un concerto rock, ho chiesto un martini sporco,
la mia mano cercava un modo per trattenere la notte. Il
ronzio della chitarra elettrica era il corpo di mio padre.

In principio Dio fece il Cielo e il corpo di mio padre.

***

Gbenga Adesina è un poeta e saggista nigeriano. È stato il primo poeta nigeriano – nonché il primo africano in assoluto – a vincere, nel 2016, il Brunel International Poetry Prize. Nello stesso anno, la sua poesia How to Paint a Girl è stata scelta per la pubblicazione sul New York Times. Nel 2020 ha vinto il Narrative Prize con la sua poesia Across the Sea: a sequence. Suoi contributi sono apparsi sulle pagine di Yale Review, Harvard Review, Narrative, Academy of American Poetry’s Poem-a-Day e Prairie Schooner. Di recente ha inaugurato, in qualità di Mellon Foundation Fellow, il corso in “Global Black and Diaspora Poetry at the Furious Flower Poetry” alla James Madison University.

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