Nella rappresentazione dominante, le terre alte, quelle non baciate dal turismo e non comprese in qualche lista di eccellenza (Unesco, Bandiere Arancioni, Borghi più belli, ecc) vengono considerate alla stregua di una zavorra improduttiva, alla quale rispondere con compassionevoli aiuti a pioggia, che a volte si dimostrano più dannosi che utili. Il dibattito pubblico offre una rappresentazione molto parziale e stereotipata delle Alpi. Una postura ossessionata dal turismo, il “cosiddetto petrolio d’Italia”, unico motore economico che va sostenuto a discapito del resto.

Ma ci sarà sempre più bisogno di abitare la montagna al di là del turismo, creando nuove economie, come, per esempio, quella della filiera del legno: 11,8 milioni di ettari sono boschi (ovvero quasi il 40 per cento della superficie del territorio italiano, e il doppio da inizio Novecento), ma continuiamo a importare legname da opera per il 95 per cento (con grandi impatti sulla CO2)!

Dobbiamo provare a metterci dalla parte di chi vive nella “montagna profonda”, non in quella da cartolina iper pubblicizzata. Proviamo a metterci dalla parte dei soggetti che sono stati marginalizzati in questi decenni di “inverno demografico”. Per loro la vita è sfavorita perché l’accessibilità ai servizi (scuola, salute, poste, trasporti) è di fatto negata. Svantaggiati sono i 3 milioni e 700mila italiani che vivono nei comuni classificati “periferici” (ovvero più di 40 minuti da un centro di erogazione dei servizi primari); e ancor di più 670mila dei comuni “ultra periferici” (75 minuti).

Eppure quel mondo che nessuno racconta è una riserva di fonti energetiche primarie, acqua, legno, vento, biodiversità, una varietà che grazie alla morfologia della Penisola non ha eguali in Europa. Un accumulo di beni archeologici e paesaggistici e di altri beni intangibili, silenzio, buio, assenza di inquinamento…

Se negli anni Novanta, con la globalizzazione, le produzioni sono state delocalizzate in Cina e India, oggi ha senso spostare il lavoro creativo e di innovazione tecnologica in montagna. Il quadro è cambiato favorendo una delocalizzazione di prossimità. E là dove più forte è stato lo spopolamento tanto più facile sarà l’arrivo di novità. Le montagne stanno diventando veri e propri laboratori socio-ambientali, come dimostrano molte attività innovative che resuscitano borghi semi abbandonati. Per questo hanno bisogno di più servizi per gli abitanti e meno infrastrutture turistiche.

Nel corso dei secoli, i paesi sperduti tra le montagne hanno superato periodi di crisi molto peggiori, shock esogeni come invasioni, epidemie, carestie. Lo hanno fatto basandosi sul mutuo aiuto (usi civici, beni collettivi) anziché sulla competizione esasperata che governa la nostra società dei consumi. Ed è ciò di cui avremo più bisogno…

Di questi temi parlerò nel mio nuovo spettacolo, “Chiedi alle montagne”, che debutterà al Teatro Filodrammatici di Milano il 6 dicembre, alle 20:30.

Articolo Precedente

Prima magnificavano Internet, ora l’intelligenza artificiale: io vorrei il parere di Steve Jobs

next
Articolo Successivo

Spaventati dal clima e dal futuro, convinti di non contare: l’Italia “sonnambula” del rapporto Censis. Ma sui diritti i cittadini sono più avanti delle istituzioni

next