Sono passati due anni da quando, alla Cop 26, trentaquattro Paesi e cinque istituzioni finanziarie pubbliche aderirono alla dichiarazione di Glasgow, impegnandosi a porre fine a nuovi finanziamenti pubblici internazionali per progetti di estrazione, trasporto e trasformazione di carbone, petrolio e gas entro il 31 dicembre 2022. Anche l’Italia firmò, cambiando idea all’ultimo minuto. Le cose, però, sono andate in modo diverso, tant’è che a pochi giorni dall’inizio della Cop 28 di Dubai, e a poche settimane dal Summit Italia-Africa, ActionAid Italia, Focsiv, Movimento Laudato Si’, ReCommon e WWF Italia, supportate da ventinove organizzazioni della società civile africana, chiedono ancora oggi che il governo si impegni per interrompere i finanziamenti pubblici internazionali di progetti fossili. Come aveva promesso firmando quella dichiarazione, che riguardava anche le istituzioni di finanza pubblica, ossia agenzie di credito all’esportazione, come Sace, e banche di sviluppo, come Cassa depositi e prestiti.

La promessa disattesa – Certo, l’accordo non era e non è vincolante e consentiva un sostegno limitato alle opere già in corso, ma da fine 2022 il flusso di denaro avrebbe dovuto arrestarsi. Sta di fatto che, secondo un recente rapporto da Oil Change International, solo nei primi sei mesi del 2023 l’Italia ha finanziato progetti fossili con oltre 1,2 miliardi di dollari di sussidi pubblici. Una quota che l’ha posta al secondo posto, tra i Paesi che si erano impegnati in Scozia e che hanno disatteso quella promessa. Hanno sborsato di più solo gli Stati Uniti (1,5 miliardi di dollari). Seguono, invece, l’Italia, Germania, Giappone, Olanda e Svizzera. Tramite i crediti all’esportazione e le agenzie nazionali di sviluppo, da questi sei Paesi sono arrivati 4,4 miliardi di dollari. Roma ha finanziato progetti in Indonesia (141 milioni di dollari), Perù (500 milioni), Uzbekistan (145 milioni), ma anche in Brasile, Mozambico, Turchia e Vietnam. “Attraverso l’operatività di Sace – denunciano le organizzazioni – l’Italia è il primo finanziatore pubblico di combustibili fossili in Europa e il sesto a livello globale”. Dall’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi sul clima, l’ammontare garantito per progetti di carbone, petrolio e gas supera i 15 miliardi di euro. Il 42% di queste garanzie riguarda progetti realizzati in vari paesi dell’Africa: Mozambico, Nigeria, Egitto. Nello stesso periodo, i prestiti di Cassa depositi e prestiti a progetti di petrolio e gas nel continente ammontano a 1,66 miliardi di euro.

La denuncia dei Paesi africani – “È arrivato il momento che il governo italiano, attraverso le sue istituzioni di finanza pubblica, faccia la sua parte, a partire dallo stop ai finanziamenti pubblici internazionali per progetti fossili” spiega Simone Ogno, campagna Finanza e Clima di ReCommon, secondo cui si tratta di “un‘opportunità unica per orientare soldi pubblici a favore di politiche di mitigazione e adattamento in Italia, e per creare partenariati alla pari con i paesi a basso reddito, a partire da quelli africani”. Si parla, infatti, di contesti attraversati da forti instabilità socio-politiche e da violazione dei diritti. Anche un recente report commissionato dalla oil major francese TotalEnergies evidenzia la complessa situazione dei diritti umani nell’area di Cabo Delgado, Mozambico, dove si trova la maggioranza dei progetti estrattivi del Paese. “Come già denunciato da ReCommon, le politiche delle istituzioni di finanza pubblica italiane, Sace in particolare, disattendono gli impegni internazionali sottoscritti dall’Italia. Questo permette il finanziamento di ulteriori progetti fossili in maniera quasi incondizionata. Tra questi progetti – spiega Ogno a ilfattoquotidiano.it – potrebbero esserci Rovuma Lng e Coral Norte Flng di Eni in Mozambico, dal momento che Sace è già molto esposta in Mozambico con le garanzie per Mozambique Lng di Total (950 milioni di dollari) e Coral South Flng di Eni (700 milioni di dollari)”.

La denuncia della società civile africana – In questa situazione, è dalla società civile africana che arriva il monito: “La proliferazione di progetti oil&gas, si frappone a una giusta transizione energetica del continente”. Una denuncia portata a settembre 2023, a Nairobi, in Kenya, per l’Africa Climate Summit. “Gli stessi capi di governo dei paesi africani – raccontano le ong – hanno sottolineato la necessità di interrompere tutti i sussidi alle fonti fossili e di creare una nuova infrastruttura finanziaria, capace di tenere conto anche della ristrutturazione del debito, spesso contratto dai paesi proprio per ospitare progetti fossili sul proprio territorio”.

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