Il San Primo è una montagna delle Prealpi Comasche, che raggiunge i 1.682 metri sul livello del mare. Ad un’ora di distanza da Milano, è la cima più elevata del triangolo lariano, con una splendida vista sul Lago di Como. Insomma un paradiso naturale, frequentato da tanti escursionisti. Un paradiso naturale in pericolo a detta del coordinamento “Salviamo Monte San Primo”, gruppo di oltre trenta associazioni – tra cui Wwf, Cai, Mountain Wilderness, Legambiente e Lipu – che da oltre un anno si oppone ad un progetto di realizzazione di nuovi impianti di risalita e di innevamento artificiale. San Primo è stata una apprezzata località sciistica a partire dagli anni Sessanta, quando, in pochi anni, vi si realizzarono tre skilift, per un totale di 12 chilometri di piste sciabili. Poi il declino. Nel 1998 la prima chiusura, tra il 2005 e il 2006 quella degli altri due impianti. Fino a quando nel 2010 la Comunità Montana diventata proprietaria del comprensorio, manifesta l’intenzione di riaprire le piste, mai abbandonata. Anzi: negli ultimi 4 anni governo, Regione e enti locali hanno preparato 5 milioni di euro per realizzare il progetto. In un posto dove però nevica sempre più raramente, come è facilmente immaginabile vista l’altitudine medio-bassa e i cambiamenti climatici ormai davanti agli occhi di tutti. Questa storia è stata già raccontata da ilfattoquotidiano.it qualche tempo fa. Ma l’iter non si ferma. Così la logica conseguenza è che il progetto sta facendo il giro della stampa mondiale, dall’inglese Telegraph all’americana Cnn. E non è per raccogliere complimenti: “Ci sono poche cose che gli italiani fanno meglio che sognare in grande contro ogni previsione” si legge nell’incipit sarcastico dell’articolo dell’emittente americana.

L’iter ha avuto inizio nell’aprile 2019 quando la San Primo srl presenta una proposta approvata dalla Comunità montana. Viene indetta una gara ma va deserta. A febbraio 2021 la Comunità commissiona un nuovo progetto di riqualificazione, sottoscritto dal Lago di Como-Gal (società che ha lo scopo di favorire lo sviluppo economico e sociale del territorio), dal Comune di Bellagio e dalla Regione Lombardia. Tra le voci previste un impianto di innevamento, opere di contenimento, un parcheggio, tre tapis roulant, sistemazione sentieristica del collegamento Alpe di Torno-Alpe del Borgo con realizzazione e posa cartellonistica e ancora promozione e comunicazione. L’investimento complessivo è di oltre 5 milioni di euro: uno arriva dalle casse della Regione, un altro dalla Comunità montana e i restanti tre sono disposti dal ministero degli Interni. A posto anche la destinazione urbanistica perché la delibera della Regione sottolinea che gli interventi “sono conformi al Piano di Governo del territorio di Bellagio”. I benefici – per i proponenti – sono evidenti e riguardano la qualificazione del Triangolo Lariano come “luogo dello sport e dell’outdoor” che coniuga “paesaggi, cultura, ambiente ed enogastronomia” con conseguenti ricadute turistiche e commerciali.

La pensa diversamente “Salviamo Monte San Primo” che parla di progetto “dissennato“. Il coordinamento chiede di rinunciarci o almeno che siano evitati gli interventi a maggior impatto ambientale e cioè “nuovo consumo di suolo ed uno spreco di grandi quantità di acqua, oltre che di energia”. Le associazioni non possono non citare “la medio-bassa altitudine dell’area di progetto, la sempre più frequente assenza di precipitazioni nevose e l’aumento della temperatura nelle Alpi e nelle Prealpi” che “riducono la durata della neve al suolo, tanto quella caduta dalle nubi quanto quella artificiale, sparata dai cannoni”. Il coordinamento ha scritto una lettera ai consiglieri comunali di Bellagio, mentre il senatore di Verdi-Sinistra Tino Magni ha presentato una interrogazione ai ministri dell’Ambiente e dell’Interno Gilberto Pichetto Fratin e Matteo Piantedosi per avere notizie su “la natura e le ragioni del finanziamento di tale opera di elevato impatto ambientale”.

Il coordinamento ha provato a mettere al centro dell’agenda il dibattito sul progetto con camminate e incontri pubblici. “Il progetto – spiega Costanza Panella, di Legambiente Lombardia – deve essere radicalmente rivisto sulla base dell’esame di cosa sia la montagna oggi, di quale tipo di persone la frequentino. La montagna ha bisogno di investimenti che ne garantiscano la vita con il sostegno all’agricoltura, all’allevamento, alla silvicoltura e al turismo rispettoso dell’ambiente”. Per Roberto Fumagalli, presidente del Circolo Ambiente Ilaria Alpi, è “un intervento fuori luogo che alimenta nuova antropizzazione e cementificazione in un territorio che andrebbe invece preservato dal punto di vista naturalistico”. Mentre nei territori interessati se ne discute, la questione ha visto crescere la sua rilevanza, anche mediatica. Il quotidiano inglese The Telegraph che se ne è occupato recentemente ha definito il progetto “assurdo”, la Cnn ha dedicato un articolo nella sezione viaggi della versione online, intitolato “una stazione sciistica chiusa a causa dei cambiamenti climatici prevede di riaprire grazie all’innevamento artificiale. Non sono tutti ontenti”. Nel pezzo si legge: “Ci sono poche cose che gli italiani fanno meglio che sognare in grande contro ogni previsione – scrive il sito della tv americana – Prendiamo ad esempio il piano multimilionario in cantiere dagli anni Novanta per costruire il ponte sospeso più lungo del mondo sullo Stretto di Messina. Ora il progetto di costruire un impianto sciistico multimilionario su una montagna senza neve del Nord Italia potrebbe rivelarsi altrettanto impegnativo”. Qualunque sarà l’esito del progetto, a riuscire sconfitto sarà il buon senso. Che ne avrebbe potuto sconsigliato la realizzazione. “Mi vedo costretto a parlare di questioni delle quali in un Paese civile dovrebbe essere inutile anche soltanto accennare”, scriverebbe ancora Antonio Cederna.

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