Mentre si attende con tensione la concretizzazione dell’accordo raggiunto in Qatar sulla tregua a Gaza, papa Francesco riceve in Vaticano una delegazione israeliana di parenti degli ostaggi nascosti da Hamas e un gruppo di familiari di palestinesi detenuti nelle prigioni d’Israele. “Loro soffrono tanto – ha esclamato il pontefice – e ho sentito come soffrono ambedue: le guerre fanno questo, ma qui siamo andati oltre le guerre, questo non è guerreggiare, questo è terrorismo”. A livello internazionale Francesco e il presidente statunitense Biden sono i più tenaci fautori della necessità di una sistemazione definitiva del conflitto pluridecennale, che dilania la Terrasanta.

Joe Biden ha ribadito in un articolo sul Washington Post che la soluzione non può che essere l’unificazione di Gaza e Cisgiordania sotto una rinnovata Autorità Nazionale Palestinese per realizzare l’obiettivo di “due popoli, due Stati”. Francesco, nell’evocare continuamente le due entità – Palestina e Israele – evidenzia simbolicamente che così deve essere. “Preghiamo per il popolo palestinese, preghiamo per il popolo israeliano, perché venga la pace”, ha ripetuto.

La crescita esponenziale dei morti a Gaza è un grido muto. La cifra delle vittime civili ha oltrepassato i quattordicimila. I cadaveri non sono numeri. Sono corpi. Immaginiamo quattordicimila corpi impilati in piazza del Popolo a Roma o a piazza del Duomo a Milano. Non basterebbe lo spazio. I corpi strariperebbero nelle vie circostanti. Mettessero “pietre d’inciampo” in memoria, non si potrebbe più camminare.

I bombardamenti a tappeto ad opera dell’aviazione israeliana hanno provocato un orrore che a livello mondiale, ha spiegato il segretario dell’Onu Guterres, è “senza paragoni e senza precedenti” da quando si è insediato nella sua carica nel 2017. Questo non significa dimenticare l’orrore per chi è stato massacrato durante l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Con episodi di barbarie indelebile. Ciò che si chiede l’opinione pubblica è quale sia il prezzo della rappresaglia: tre per uno, quattro, cinque, sette? Per il momento – e non è finita – è già stato ampiamente superato il rapporto di dieci a uno.

Quando la diplomazia israeliana mostra ad alcuni giornalisti i video delle violenze ributtanti accadute il 7 ottobre, ha ragione a dire che Israele non può permettere che simili azioni accadano mai più. Identico ragionamento si fa strada nell’opinione pubblica internazionale, dove si avverte l’insostenibilità del massacro spietato in corso ai danni della popolazione di Gaza. La verità è che non può esistere un dolore selezionato. Non può che esserci empatia e dolore condiviso per ogni vittima di entrambe le parti. Non esistono vittime “più vittime” delle altre. “Ho sentito come soffrono ambedue”, ha dichiarato non a caso Francesco.

L’unico modo per onorare le vittime è chiudere e sanare la ferita del conflitto israelo-palestinese. Se, come è possibile, il governo Netanyahu riprenderà la sua azione spietata nei confronti della popolazione di Gaza, mietendo ulteriori vittime tra i civili, apparirà con sempre maggiore chiarezza che il suo obiettivo non è la difesa dell’esistenza di Israele (che in realtà non è messa in questione) ma la volontà di mettere in ginocchio i palestinesi perché non osino in nessun modo ribellarsi. La speranza di tutti – certamente della singolare coppia Biden-Francesco – è che la tregua annunciata in queste ore possa portare gradualmente a fare cessare lo scontro armato (il che appare improbabile ma è l’unico modo per uscire dal pantano delle vendette e rappresaglie senza fine).

Se così fosse, non è solo del destino di Gaza che bisogna occuparsi, ma del destino di tutto il complesso del territorio palestinese: Gaza, Cisgiordania, Gerusalemme Est. E’ necessaria una svolta radicale. Il che significa mettere chiaramente sul tavolo le questioni fondamentali.

1) Una forza di pace internazionale (composta da contingenti occidentali e arabi) sia a Gaza che in Cisgiordania, che garantisca l’ordine nei territori. Anche in Cisgiordania. Sia perché non “appartiene” a Israele sia perché il governo israeliano si è dimostrato incapace di frenare lo squadrismo dei coloni che mirano apertamente alla pulizia etnica, cacciando oltre il Giordano la popolazione palestinese e beduina. “Andatevene”, come recitano i volantini diffusi dalle squadracce dei coloni nei loro raid, è puro razzismo e suprematismo.
2) Elezioni generali libere tra i palestinesi di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est per un governo rappresentativo dell’Autorità Nazionale Palestinese.
3) Una conferenza internazionale per fare nascere entro il 2024 lo Stato palestinese.

Tutto questo potrebbe apparire come wishful thinking, per usare una bella espressione inglese: un “pensiero desideroso”, che si può scontrare contro la dura realtà. “Per favore, andiamo avanti per la pace, pregate per la pace, pregate tanto per la pace – implora papa Francesco – Che il Signore metta mano… ci aiuti a risolvere i problemi e non andare avanti con le passioni che alla fine uccidono tutti”. E’ vero, la pace può ancora sembrare un miraggio. Ma la realtà di questo mese e mezzo ha portato alla luce una importante novità. L’emergere in molte parti dell’Occidente, specie tra i giovani, di un sentimento che coniuga il rispetto naturale per l’ebraismo e la sua cultura con il ripudio del nazionalismo e dell’estremismo messianico presenti nel governo di Israele e che da decenni praticano la sopraffazione dei palestinesi.

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Gaza, il Papa: “Soffrono sia gli israeliani che i palestinesi. Siamo oltre la guerra, questo è terrorismo” – Video

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