Esultare per uno 0-0 sudato (e a dir la verità anche un po’ rubacchiato) contro la povera Ucraina. Festeggiare per una semplice qualificazione agli Europei. Già questo dice tutto sul reale valore del nostro calcio oggi: non più una potenza del pallone continentale e mondiale, ma una squadra modesta per cui anche solo partecipare ai grandi tornei internazionali è diventata una conquista.

La gioia di Leverkusen, più che altro il sollievo, non cancella la figuraccia di Palermo contro la Macedonia del Nord di un anno fa o l’amarezza di San Siro per la Svezia nel 2017. Il pareggio contro l’Ucraina è un grande risultato, soprattutto per quanto vale per il movimento: mancare anche questa qualificazione, risprofondare nell’incubo degli spareggi col rischio di saltare Euro 2024, dopo Qatar 2022 e Russia 2018, sarebbe stata un’autentica apocalisse nazionale. È vero che ne abbiamo già vissute due, ma a furia di scavare si rischia davvero di non rialzarsi più. Il calcio italiano può respirare: gli azzurri si giocheranno gli Europei da campioni in carica.

Adesso la domanda diventa come e con quali ambizioni, in un torneo dove le favorite saranno le altre e noi, oggi attualmente in quarta fascia nel sorteggio, non partiremo nemmeno come outsider. La qualificazione così stentata ha confermato, se mai ce ne fosse bisogno, quanto profondi siano i limiti del nostro calcio in questo momento. Ai Mondiali, con un solo posto in palio per gruppo e poi la lotteria dei playoff, può capitare di non andare, certo non due volte di fila. Ma mai avremmo pensato di temere anche per gli Europei. È vero, stavolta il sorteggio era complesso: lo si era detto subito che in un girone con Inghilterra e Ucraina l’Italia avrebbe rischiato. E infatti ha rischiato fino all’ultimo secondo. Però non si può nemmeno sopravvalutare la complessità di un percorso che un tempo rappresentava per la nostra nazionale una pura formalità e che invece con i pareggi contro Bulgaria e Macedonia ci siamo complicati da soli.

L’Italia è una nazionale senza più particolare talento, in cui spiccano poche individualità (Chiesa, Barella, per certi versi Dimarco, oggi sono gli unici veri giocatori di caratura internazionale) e che quindi deve affidarsi alle idee e allo spirito per essere competitiva. Con Mancini, nell’ultima fase della sua gestione, avevamo perso anche quelle e infatti eravamo a un passo dall’eliminazione. Per certi versi, dobbiamo quasi ringraziare l’ex ct: è stato proprio il suo tradimento e la fuga verso l’Arabia a riaccendere una scintilla in una squadra che sembrava clinicamente morta. I meriti di questa qualificazione sono quasi tutti di chi ha preso il suo posto: Luciano Spalletti che in tre mesi è riuscito a ridare un’anima e anche un minimo di identità di gioco agli Azzurri.

È chiaro che per gli Europei servirà molto di più di quanto, poco, intravisto ultimamente. Anche perché, partendo dalla terza (difficile) o quarta fascia, ci attende quasi sicuramente un girone di ferro. Inutile aspettarsi troppo dal campionato: la Serie A non potrà produrre in pochi mesi i campioni che non sforna da anni. Al massimo potrebbe sbocciare uno di quei mezzi talenti (Scamacca, Raspadori, Kean, all’estero Zaniolo) di cui si compone il nostro reparto d’attacco. Non resta allora che aggrapparsi a Spalletti: il ct oggi è l’unica, concreta speranza dell’Italia per Euro 2024. Che in quel mese di giugno, con tutti gli azzurri a disposizione in ritiro, possa costruire una nazionale vera. E poi ogni fase finale, si sa, fa storia a sé. L’Italia a Euro 2024 intanto ci sarà. Già questo oggi è un mezzo trionfo.

Twitter: @lVendemiale

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