Nelle ultime settimane si è consumato un vero e proprio esodo sul confine tra Pakistan e Afghanistan. Un flusso di rifugiati afghani, che non accenna a ridursi, costretti ad abbandonare il territorio pachistano dopo la stretta delle autorità di Islamabad. A oggi, circa 300mila persone si sono spostate, a fronte di un numero complessivo di afghani presenti in Pakistan che si aggirerebbe attorno ai 4 milioni di persone. Di queste, tra 1,7 e 2 milioni non possiedono documenti che ne consentano la permanenza sul territorio pachistano ma, a fronte anche della sempre più compromessa situazione dopo che i Talebani sono tornati al potere a Kabul, le autorità di Islamabad ne avevano fino ad ora garantito lo status. Non tutti i rifugiati sono fuggiti dall’Afghanistan dopo l’agosto 2021, molti si sono infatti stabiliti in Pakistan degli Studenti coranici.

Nonostante la difficoltà di influire su quanto sta accadendo, la comunità internazionale, con in prima fila l’Onu e Amnesty International, non ha mancato di far sentire la propria voce nei confronti delle autorità pachistane, sia per le modalità spesso violente con cui avviene la deportazione o lo spostamento dei rifugiati nei centri appositi costruiti in fretta e furia dal Pakistan, sia per i rischi che i cittadini afghani rispediti nel loro Paese d’origine corrono. Il rispetto dei diritti umani in Afghanistan è infatti sempre più sotto attacco da parte dei Talebani. Dopo il precipitoso abbandono del territorio nazionale da parte degli Stati Uniti, il gruppo islamista ha avuto gioco facile nell’imporre un sistema giudiziario e sociale basato sulla rigida interpretazione della Sharia che prevede ad esempio la completa estromissione delle donne dalla quasi totalità delle sfere della vita pubblica – prima fra tutti, ovviamente, l’istruzione – e professionale, oltre che una violenza diffusa a base anche di esecuzioni sommarie.

Gli stessi Talebani, oltretutto, si sono opposti alla decisione di Islamabad. Il timore del movimento fondamentalista è infatti che la necessità di occuparsi di altre centinaia di migliaia di persone in stato di estrema necessità possa mettere definitivamente in ginocchio la già fragilissima tenuta sociale del Paese: le Nazioni Unite stimano che dei circa 40 milioni di cittadini afghani, 29 milioni abbiano necessità di assistenza umanitaria. I Talebani stanno creando corridoi per rendere più semplice l’afflusso di persone a Torkham e Chaman, due dei punti di frontiera più utilizzati nelle ultime settimane, e stanno approntando alcuni centri di accoglienza. Ma la capacità di Kabul di supportare persone che hanno perso ogni bene e ogni prospettiva è estremamente limitata. A pesare sull’opposizione dell’Afghanistan sono però anche considerazioni di carattere più strettamente politico.

Ufficialmente la decisione delle autorità pachistane di effettuare questo giro di vite e di costringere tutti i migranti illegali a lasciare definitivamente il Paese dopo il 1 novembre – anche se è stato annunciato che il provvedimento sarà esteso a tutti i rifugiati afghani, anche a quelli legalmente in Pakistan – è legata ai problemi di sicurezza che una presenza così massiccia sul territorio nazionale starebbe causando. Secondo il Ministero degli Interni di Islamabad, appartenenti alla comunità afghana sono responsabili di almeno circa la metà degli attentati più gravi – più di 20 – che hanno insanguinato il Pakistan nel corso del 2023. Il territorio pachistano è continuamente scosso da attacchi più o meno eclatanti, che spesso sono orchestrati dalla “filiale” dei Talebani del Pakistan o dal Movimento Separatista del Belucistan, la più grande ma anche più povera regione del Paese. A loro volta i Talebani – che a fine ottobre hanno emesso una fatwa, ossia un divieto religioso, di compiere attentati in Pakistan – ritengono le autorità pachistane responsabili di connivenza con gli attentatori che colpiscono l’Afghanistan. Un continuo scambio di accuse che non fa altro che esacerbare le tensioni, già molto forti negli ultimi mesi, con Islamabad e Kabul che sembrano impegnate rispettivamente più a puntare il dito una contro l’altra per provare a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai disastri domestici che non a trovare soluzioni durature per la sicurezza interna dei due Paesi.

L’inverno alle porte rischia di rendere ancora più drammatica la situazione, considerando che in alcune delle aree di confine tra Pakistan e Afghanistan la temperatura può raggiungere anche i 35 gradi sotto lo zero. Nonostante questo, le pressioni internazionali non sembrano per ora essere in grado di far tornare le autorità pachistane sui propri passi. In un Paese di 230 milioni di abitanti fiaccato da una delle più gravi crisi economiche dai tempi dell’ottenimento dell’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1947 e che si appresta a tenere a febbraio 2024 elezioni generali dall’esito quanto mai incerto, gli afghani hanno rappresentato almeno a livello governativo il più classico dei capri espiatori.

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