Napoli, ancora. Napoli punto e a capo. Sì, perché la terza volta (e non la seconda) di Walter Mazzarri a Napoli appare quasi una tappa obbligata. Ci è praticamente nato come allenatore Mazzarri a Napoli, quando da secondo di Ulivieri nella stagione 1998-99 andava praticamente più lui in panchina che il suo mentore, spesso espulso e fuori per squalifica. Ci ha vissuto il meglio della sua carriera quando nel 2009 prese in corsa un Napoli che dopo la risalita in A ambiva a primeggiare ma stentava con Donadoni e lo portò in Champions e a competere per lo Scudetto. Ci torna dopo che quella carriera che s’immaginava decollasse dopo Napoli ha preso invece una traiettoria diversa, più incerta tra alti e bassi. Quasi che il tempo per Walter Mazzarri si fosse fermato al 2013, al secondo posto e a quella Coppa Italia che resta l’unico trofeo vinto da allenatore nel 2012.

E dopo quella Coppa avrebbe già salutato con piacere Mazzarri, (quasi) sedotto dalle lusinghe della Roma o forse della Juve con Gasperini pronto a sostituirlo in azzurro. Poi tornò in extremis sui suoi passi, restò e andò all’Inter un anno dopo. Non andò bene. Non male, con un quinto posto raggiunto con una squadra ben diversa da quella di oggi (di fatto per migliorare il suo quinto posto è dovuto arrivare Spalletti quattro anni dopo), ma di certo l’esperienza nerazzurra non è stata la consacrazione al top che immaginava. Poi Watford, due anni al Toro di cui uno ottimo e infine l’esperienza assai negativa di Cagliari. Insomma: un tempo sospeso. Sospeso ai tempi dei “tre tenori”, Cavani, Hamsik e Lavezzi che facevano a fette gli avversari guidando rimonte incredibili con una squadra garibaldina e ben meno attrezzata, al di fuori di quei tre meravigliosi fuoriclasse, di quelle venute in seguito. Affrontava City e Bayern e Chelsea in Champions con una squadra di debuttanti, Mazzarri: con Aronica in difesa e Gargano in mezzo, col 3-5-2 d’ordinanza a sfidare squadroni e fuoriclasse con sfrontatezza e sfacciataggine. E con le corse poco lucide di Gargano e i calcioni di Aronica fece fuori il City in un girone di ferro il suo Napoli, fermò il Bayern in casa e avrebbe tirato fuori anche il Chelsea di Di Matteo, poi vincitore della Coppa, se Christian Maggio, altro pretoriano di Mazzarri, fosse stato più preciso a porta vuota nell’andata in quello che allora si chiamava San Paolo.

Con evidente soddisfazione di De Laurentiis per una performance d’eccellente aziendalismo: trasformò Maggio in un terzino da nazionale, Cavani che fino all’epoca era stato un esterno offensivo da una decina di gol nella bestia da 40 gol a stagione che ancora oggi calca i campi e Camillino Zuniga in un ottimo esterno sinistro da che era terzino destro. Un legame fortissimo anche con la piazza che lo portava a finire le partite in maniche di camicia pure quando c’era il gelo totale e spesso completamente sfinito: una volta dopo una gara ebbe addirittura un malore, poi curato dai medici della clinica Montevergine della vicina Mercogliano. Immagini scolpite ancora nella memoria dei tifosi, nonostante quel che è venuto dopo sia stato superiore. Ma l’affetto della piazza è un fattore probabilmente decisivo anche nella scelta di De Laurentiis di puntare sul toscano come sostituto di Garcia. L’obiettivo è chiaramente salvare la stagione con l’accesso alla Champions e un percorso dignitoso nella manifestazione, per poi ripartire con un nuovo progetto. Allenatori cui affidare questo progetto, secondo De Laurentiis, non ce ne sono sulla piazza e dunque serve un traghettatore di assoluta fiducia.

È passato pure il nome di Mignani, che è bravo, è uomo di fiducia avendo allenato il Bari ma forse senza l’esperienza necessaria per una sfida come Napoli, come il Napoli in Champions, come il Napoli campione d’Italia. Mazzarri a Napoli ci ha allenato sia in campionato che in Champions, ci ha vinto, conosce la città, la piazza e i tifosi gli vogliono bene: al netto dei meme, dello scetticismo e del pessimismo attuale, che sono elementi naturali. E non pretende rinnovi o garanzie Mazzarri: se la gioca e basta, conscio che la terza volta a Napoli è una sorta di bonus. Nessun fronzolo neppure sul 3-5-2, inapplicabile a Napoli a meno di pensieri sciagurati che vorrebbero gente come Kvara o Politano fuori: Mazzarri è aziendalista, gli tocca rimettere la macchina in carreggiata senza fare modifiche, e lui lo sa. Per farlo porterà souvenir dalle sue esperienze precedenti: Claudio Bellucci, che aveva come attaccante nel 1998 quando era secondo di Ulivieri, Salvatore Aronica, pretoriano dai tempi della Reggina e probabilmente anche Giuseppe Pondrelli, preparatore atletico di fiducia.

Senza mezzi termini è una sfida da dentro o fuori per Mazzarri: un rilancio, a dimostrare che a 62 anni può dire ancora la sua nei vertici del calcio come allenatore; oppure l’esatto contrario, semplicemente. La missione sarà compiuta riuscendo a traghettare il Napoli nelle prime quattro posizioni e almeno agli ottavi di Champions: scorbutico e ben poco loquace Mazzarri non lo confesserà mai, ma chissà, magari in un percorso tutto di porte girevoli sogna che stavolta la parte di quel Di Matteo che si trovò di fronte undici anni fa possa farla lui.

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