“Tu non c’eri… non c’eri… c’eri là sotto tu? Quando gli ho detto io proviamola”. “No quando l’hai provata no… pare che parte un aereo quando hanno sparato… ‘zumpanstu’”. “… indietro buca pure le macchine blindate”. “E ne spara sei in una volta”. È sufficiente quest’intercettazione per capire la pericolosità degli indagati arrestati oggi dalla Guardia di finanza a Reggio Calabria nell’ambito dell’operazione “Garden”. Soggetti che avevano a disposizione una vera e propria “Santa Barbara”, arsenali dove fucili e pistole erano le armi più innocue in mano alla cosca Borghetto-Latella che si serviva anche di gruppi organizzati appartenenti alla comunità rom. Nel corso delle indagini, infatti, la Dda ha sequestrato oltre due chili di gelatina dinamite a base di nitroglicerina, mitragliatrici e fucili d’assalto Ak-47. “L’altro giorno hanno portato un bel kalashnikov” si sente in un’intercettazione finita nelle 1800 pagine di ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari Tommasina Cotroneo su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri, dell’aggiunto Walter Ignazitto e del sostituto Nicola De Caria : 25 indagati in carcere, uno ai domiciliari e uno all’obbligo di firma.

Associazione mafiosa, estorsione, detenzione e porto abusivo di armi da fuoco, spaccio e traffico di sostanze stupefacenti e usura. La Direzione distrettuale antimafia ha ricostruito le dinamiche criminali del quadrante sud di Reggio Calabria dove la cosca Borghetto-Latella controllava militarmente i quartieri di Ciccarello e Modena. In manette sono finiti i fratelli Cosimo e Gino Borghetto, boss che un tempo erano ritenuti alla guida di un gruppo satellite della famiglia Libri. Oggi, invece, i due capicosca (definiti “la corona della nostra testa” da un esponente di un’altra famiglia mafiosa) sono completamente autonomi e ricoprono un ruolo all’interno del mandamento reggino della ‘ndrangheta. Sono loro, infatti, a dispensare doti e cariche mafiose e sono anche i custodi di quel “patto federativo” secondo cui la “bacinella” con i proventi illegali doveva servire per il mantenimento dei detenuti non solo della loro cosca ma anche delle altre famiglie mafiose della città.

Uno degli aspetti più interessanti dell’inchiesta “Garden” è l’esistenza di un legame sempre più profondo e sinergico tra la ‘ndrangheta della provincia e pericolosi esponenti di gruppi criminali appartenenti alle comunità nomadi. Nell’ordinanza di custodia cautelare, il gip Cotroneo sottolinea “l’utilizzo e l’asservimento della comunità rom piegata al potere mafioso della cosca e in compenso arricchita con la concessione di margini di apparente autonomia delinquenziale nonché impiegata dalla cosca, con reciproci ritorni economici, nei settore di reperimento ed occultamento delle armi nonché nel settore dell’intensissimo traffico di droga”.

Per i pm, infatti, l’inchiesta “Garden” svela – si legge nell’ordinanza – “un nuovo e pericolosissimo volto della ‘ndrangheta che, pur di perseguire i propri lucrosi scopi, ampliare la propria potenza economica, rafforzare le proprie fila militari, anche con mercenari, e rafforzare il proprio potere di controllo sul territorio, è giunta finanche a stringere patti gravissimi con le comunità nomadi più pericolose ed insistenti sul territorio reggino. E lo ha fatto non solo asservendole a sé, intimidendole ed impiegandole nella concretizzazione di gravissime condotte delittuose, come reati in materia di armi, in materia di droga e, alla bisogna, anche di condotte violente e sanguinarie, ma nello stesso tempo, in forza di un necessario ‘do ut des’, legittimandole e, fatto ancor più grave, consentendo loro, forti della protezione di cosche storiche e potenti, uno spazio di autonomia e libertà delinquenziale di estrema pericolosità sociale che, altrimenti, non avrebbero potuto avere”.

Per i magistrati c’è “assoluta certezza che i nomadi detenevano, custodivano e procuravano ai Latella-Borghetto armi e droga oltre che spacciare la droga della cosca”. Al servizio della ‘ndrangheta senza essere ‘ndrangheta. Per i Borghetto c’era comunque una differenza tra loro e i rom. Lo dice il boss Gino in un’intercettazione: “Il problema è che i cazzi nostri Paolo, non li devono sapere gli zingari”.

Durante la conferenza stampa, il procuratore Giovanni Bombardieri ha spiegato che “non bisogna generalizzare con la comunità rom. Si tratta di soggetti proveniente dalla comunità rom che si erano costituiti in gruppi organizzati. È un modo di relazionarsi nuovo della ‘ndrangheta. Finora noi avevamo accertato, anche in via giudiziaria, l’appartenenza di singoli soggetti e provenienti dalla comunità rom in cosche di ndrangheta. Oggi verifichiamo invece un relazionarsi della cosca di ndrangheta con gruppi di criminalità organizzata formati da soggetti provenienti dalla comunità rom che operavano in accordo con le cosche di ndrangheta”. Con il blitz di stamattina la Guardia di finanza è entrata nei quartieri di Ciccarello e Modena, due piazze di spaccio importanti considerate per troppo tempo “zona franca”. Proprio per questo per il colonnello Mauro Silvari, comandante del Nucleo di polizia economico-finanziaria, “abbiamo dimostrato che non possono esistere aree della città che possano essere considerati ‘fortini’ dove non vi è un’azione delle forze dell’ordine”. “Possono fare qualche operazione Garden”. Si sente in un’intercettazione registrata dalle Fiamme gialle nel gennaio 2021 dopo che era stata trovata una microspia nel giardino di uno degli indagati. Meno di 3 anni e sono stati accontentati.

Articolo Precedente

Il giorno in cui ammazzarono Lillo Zucchetto. Anche Graviano tentò di sporcarne la memoria

next
Articolo Successivo

‘Ndrangheta a Milano, il boss Bandiera condannato a 10 anni e 10 mesi al processo per la ricostituzione della “locale” di Rho

next