Le lacrime di Don Diego, quelle della “Tota”, quelle di Dalma, di Giannina, di Claudia…e di qualche centinaio di migliaia di persone. Certo, non si arriva ai miliardi di diciannove anni dopo. Sempre a Novembre, sempre in quel “mese maradoniano” che parte il 30 ottobre e termina non si sa bene quando, tra anniversari e ricorrenze. Il 10 novembre 2001 è quello dell’addio al calcio, di un Diego ormai 41enne, grasso, e nel pieno dei suoi problemi di dipendenza, rifugiato a Cuba per curarli. Rifugiato a Cuba e basta. Ma alla Bombonera si celebra l’addio, un addio maradoniano, un addio esagerato, con tutti vicini per essere alla fine, e come sempre, da solo.

Argentina vs. Resto del Mondo con Veron, Francescoli, Cantona, Stoichkov, Valderrama, Higuita, persino Pelè sugli spalti. E c’è il “mono” Burgos, portiere tutt’altro che indimenticabile nelle parate ma piuttosto piacevole nei ragionamenti e per l’occasione disposto a riflettere che in fin dei conti “l’Argentina ha solo sei personaggi, Evita, il marito, Fangio, Che Guevara, Borges e Diego, appunto…senza sarebbe solo un paese di pampas e allevatori di mucche”. Ci sono pure i napoletani, pronti alla trasferta transoceanica per l’evento, per Diego, per rinverdire i fasti del Pibe in azzurro visto il periodo di magra: il giorno prima il Napoli in Serie B aveva fatto 0 a 0 al San Paolo col Crotone, il sinistro di maggior pregio a disposizione della squadra guidata da Gigi De Canio era quello di un brasiliano, Fabio Cesar Montezine.

E quei napoletani che non possono andare mica rinunciano all’evento? Certo che no, lo trasmette Stream, ma fuori dai locali ci sono i maxischermi col pezzotto, che all’epoca riusciva a fare pure un bambino, e peraltro non servirebbe nemmeno…una tv privata trasmette in differita ogni singola immagine dell’evento. Dice di essersi preparato per l’occasione col suo allenatore in albergo, Maradona: non può esagerare, ha già problemi al cuore e per la verità del pre match più che la preparazione si ricorda quando qualche giorno prima era andato a trovare l’ex presidente Carlos Menem…travestito da Bin Laden.

In partita i compagni cercano Maradona, lui duetta con loro per quel che può: segna prima Claudio El Piojo Lopez, poi Davor Suker pareggia per il Resto del Mondo, Diego manda in porta Aimar per il 2 a 1, poi va sul dischetto contro Higuita con tanto di finto litigio e lo spiazza per il 3 a 1 togliendo la maglia dell’Argentina e mostrando quella del Boca con cui giocherà il resto della gara. La partita finisce 6 a 3, per l’Argentina segna Castroman, ancora Aimar e ancora Maradona su rigore. Per il Resto del Mondo Cantona e Higuita su rigore. Trotterella per il campo Diego, in fin dei conti l’addio al calcio l’aveva dato da tempo: non giocava da quattro anni, da un superclasico col River del 97: a fine ottobre, guarda caso. Per la sua partita però sforna assist, protesta pure con l’arbitro. Poi c’è la Bombonera che è la Bombonera, e accompagna con “Maradò, Maradò” scandito come un mantra e alternato con gli “Olè, Olè, Olè, Diego, Diego”. Sullo sfondo la proposta di ritirare la maglia dell’Argentina, con la Federazione che dirà no, non si può fare e qualche tifoso che replica proponendo di ritirare direttamente il pallone.

Maradona si prende il microfono e dice che è arrivato il momento di dire basta, che ha sbagliato tanto ma ha pagato tutto (e di più), ma “la pelota no se mancha”, il calcio non si macchia. Resterà la frase clou di quell’intervento, quel giorno. Diego dirà anche che con quel pallone che non ha macchiato dei suoi errori, aveva provato a essere felice, e a rendere felici gli altri: forse dopo ventidue anni vale la pena tralasciare il grado di candore assunto dal pallone e sottolineare questa frase di Maradona. Era l’addio al calcio, ventidue anni fa…e poi tutto il resto, il 25 novembre e oggi ancora: un lungo addio, lunghissimo, più dell’azione che porta al gol contro l’Inghilterra, più del pallonetto al Verona o del sussurro di Messi sul rigore di Montiel. Da non finire mai.

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