I massacri di Hamas nei kibbutz israeliani e quelli fatti dai russi a Bucha o a Izyum ci hanno costretto a riscoprire l’uso di un’espressione che sembrava tramontata dopo Srebrenica: “Atto di genocidio”, cioè un insieme di crimini contro i civili, dallo stupro alle esecuzioni sommarie, che preludono all’annientamento di intere collettività.

Un libro, appena pubblicato da Jaca book, Eccidi nazifascisti, i fascicoli dell’armadio della vergogna, di Daniele Biacchessi, rievoca un periodo della nostra storia in cui la mappa del paese venne punteggiata da centinaia di stragi che, in quanto ad efferatezza, prefigurarono l’orrore degli ultimi conflitti. Un esempio di quanto avveniva è la strage di Vinca (Fivizzano) dove vennero uccise 178 persone nell’agosto del ’44.

“Il terrore comincia all’alba – racconta Biacchessi – gli uomini della Brigata Nera, i cosiddetti “Mai Morti”, chiudono ogni possibile via di fuga agli abitanti di Vinca e insieme alla truppa tedesca devastano e incendiano le case. Gli effetti sono micidiali. Ercolina Papa viene impalata, nuda; Alferina Marchi, incinta di sei mesi, sventrata; la bimba Nunziatina Battaglia viene lanciata in aria dai nazifascisti e colpita come si fa nel tiro al piattello; due anziani, Paris Matei e Silvio Boni, vengono bruciati dentro le loro abitazioni date alle fiamme…. Tutto ciò mentre un soldato suona tranquillo il suo organetto e gli altri camerati cantano a squarciagola Lili Marlene”.

I sopravvissuti ricorderanno per sempre la ferocia dei tedeschi, ma anche gli scambi verbali dei loro collaboratori italiani: “Ammazzateli tutti, piccoli e grandi. Giovanni sta’ attento, ammazzali quanti ne vedi… Quelli che trovate fucilateli tutti. Carlo, c’è una donna che non vuol morire. Tirale una bomba e non risparmiare nessuno. Finalmente le abbiamo trovate, vieni qua, non le uccidete dentro i buchi, sennò possono restar ferite o vive, tiratele fuori e mitragliatele”.

Rispetto a questo passato la destra di governo è più bipolare che mai: va in Israele per far dimenticare gli scheletri nell’armadio e in Italia li rispolvera per rendergli omaggio. Vediamo così La Russa che si commuove con la kippah allo Yad Vashem rifiutando però di rinnegare Mussolini, e Francesco Giubilei, il nuovo Giambruno, che con l’elmetto fra le rovine di Kfar Aza ci racconta, un mese dopo, di sentire “l’odore del sangue”. Sono gli stessi che, tornati in Italia e gettata la kippah, accettano che i loro camerati dedichino strade e piazze ai maggiordomi dei nazisti, da Almirante ad Arnaldo Mussolini…

Eccidi nazifascisti, i fascicoli dell’armadio della vergogna spiega perché non ci sia mai stata una Norimberga italiana e per quali pressioni politiche italiane e internazionali, i responsabili italiani e tedeschi di quelle stragi che insanguinarono l’Italia di Salò siano sfuggiti alla giustizia.

Lo fa a partire dal lavoro del giornalista dell’Espresso che aprì per primo l’armadio della vergogna: Franco Giustolisi. Che scrisse: “All’inizio i magistrati militari sono stati costretti a subire le fortissime pressioni del potere politico: fu il governo De Gasperi a ordinare l’occultamento dei 695 fascicoli sulle stragi, 415 dei quali indicavano nomi e cognomi degli assassini nazisti e fascisti. Dopo l’aria è cambiata, e ai magistrati deve oggi andare la nostra massima riconoscenza per aver ricostruito quelle carte e allestito processi ineccepibili. E per essersi rivolti a Germania e Austria perché le condanne fossero eseguite e gli assassini posti agli arresti domiciliari. Purtroppo, la risposta è stata picche”.

“Stiamo parlando della più sconvolgente tragedia italiana, di decine di migliaia di uomini, donne e bambini trucidati dai nazisti perché avevano aiutato la Resistenza o per impedire che lo facessero. Eppure per loro governi, autorità, partiti non hanno fatto nulla”.

In un paese che si appresta a consegnare i “pieni poteri” a un partito che non ha mai rotto i cordoni ombelicali col fascismo, il libro di Biacchessi è più attuale che mai. Verrà presentato sabato 11 novembre a Finale Ligure alle 18 in via Reclusorio 2, dopo la proiezione di “Pietre Parlanti, sei storie di donne della Resistenza Savonese”, un docufilm prodotto da Isrec di Savona e Fondazione De Mari che racconta il sacrificio delle donne che si opposero agli uomini delle camere a gas e ai loro alleati in camicia nera.

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