Anche i calciatori “brutti, sporchi e cattivi” possono entrare nella storia per un gesto nobile. Il signor Kelpler Laveran de Lima Ferreira, universalmente conosciuto come Pepe, difensore del Porto, con la capocciata imperiale del 2-0 sull’Anversa è diventato martedì sera il marcatore più anziano della Champions: 40 anni e 254 giorni. Ha tolto il primato all’ex capitano della Roma Francesco Totti, a segno contro il CSKA Mosca il 25 novembre 2014, all’età di 38 anni e 59 giorni. Sul podio di questa speciale classifica è collocato al terzo posto il gallese Ryan Giggs, ex Manchester United: aveva 37 anni e 290 quando, il 14 settembre 2011, andò in rete contro il Benfica.

Pepe è nato in Brasile, nello stato di Alagoas, ma dopo le giovanili nel Corinthias Alagoano, nel 2001, diciottenne, sbarcò al Maritimo di Funchal, isola di Madeira, casa Ronaldo per essere chiari. Nel 2004 il passaggio al Porto e nel 2007 il trasferimento al Real Madrid. Un anno chiave: Pepe ottenne la cittadinanza portoghese e questo gli spalancò le porte della nazionale lusitana. Dopo dieci stagioni con i Blancos, nel 2017 il passaggio in Turchia, al Besiktas: un’annata e ritorno al Porto, per godersi gli ultimi giri di pista di carriera nel club che lo aveva lanciato e dove aveva conosciuto la moglie, Ana Sofia Moreira, sposata in quel fatidico 2007. “La mia musa”, ha detto più volte.

Ora, al netto di 714 partite nei club e 134 in nazionale, per un totale di 48 gol, la fama di Pepe non è legata solo alle capacità – indubbie, fu premiato come migliore in campo nella finale dell’Euro 2016 – di difensore, ma anche alla trance agonistica sfociata diverse volte in interventi duri e comportamenti sopra le righe. Il curriculum della parte oscura di Pepe è corposo. Nell’aprile 2009, ai tempi del Real, fu squalificato per dieci giornate per aver aggredito due giocatori del Getafe: prima spinse per terra e prese a calci sulla schiena Javier Casquero, poi diede un pugno alla mascella a Juan Angel Albin accorso per difendere il compagno di squadra. Infine, dopo l’espulsione, insultò il quarto uomo. Pepe giustificò la rabbia cieca per il rigore provocato dallo scontro con Casquero nel pieno del testa a testa con il Barcellona di Guardiola per la conquista del titolo.

Nel 2012, calpestò la mano di Messi dopo l’ennesimo Clàsico in stile corrida, in un quarto di Copa del Rey, ma in questa occasione Pepe si scusò. Nel mondiale brasiliano del 2014, in Portogallo-Germania si scontrò con Muller: il tedesco rimase a terra, l’arbitro lasciò proseguire l’azione, ma Pepe, fuori dalla grazia di Dio, andò a colpire l’avversario con una testata. L’espulsione, inevitabile, fece sprofondare il Portogallo, battuto 4-0. In un’amichevole estiva contro la Roma, nel luglio 2014, negli Stati Uniti, Pepe scatenò una rissa: sputò all’ex Barcellona Keita, che ricambiò lanciandogli una bottiglia d’acqua. Pesante anche il curriculum dei cartellini: il difensore del Porto ha ricevuto 9 espulsioni dirette e 8 per doppia ammonizione. Una storia da “brutto, sporco e cattivo” che, soprattutto ai tempi del Real, gli costò critiche pesanti, in cui in alcuni casi si sfiorò un atteggiamento razzista nei suoi confronti.

L’altra faccia di Pepe è quella di un professionista esemplare: “Ha l’entusiasmo di un giovane e si allena in modo feroce, a regimi altissimi. Solo così si può spiegare la sua capacità di essere protagonista a quarant’anni”, le parole del tecnico Sergio Conceiçao dopo il record stabilito contro l’Anversa. Pepe, festeggiato dai compagni, ha dedicato l’impresa alla madre: “Ho lasciato il Brasile prestissimo e mi sono allontanato dalla famiglia. Ho stabilito questo primato nel giorno del compleanno di mia madre. E’ il mio regalo per lei”. “Sta mano può essere ferro o può essere velluto”: per una volta Pepe ha scelto un tocco garbato per essere protagonista.

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