Che la demografia la faccia da padrone in tanta parte del dibattito nazionale è cosa risaputa. Più anziani, meno giovani, meno figli, quando si andrà in pensione, le pensioni stesse chi le paga, il debito chi lo paga etc etc…. E non si può certo dire che la questione sia infondata visto il trend sulle nascite e visto soprattutto il modificarsi del ciclo di vita di ciascuno di noi, tanto che, già da tempo, la SIGG (Società Italiana di Gerontologia e Geriatria) ha proposto di aggiornare il concetto di anzianità, portando a 75 anni l’età ideale per definire una persona come anziana. Secondo la Società: “Un 65enne di oggi ha la forma fisica e cognitiva di un 40-45enne di 30 anni fa e un 75enne quella di un individuo che aveva 55 anni nel 1980. I dati demografici dicono che in Italia l’aspettativa di vita è aumentata di circa 20 anni rispetto alla prima decade del 1900. Non solo, larga parte della popolazione tra i 60 e i 75 anni è in ottima forma e priva di malattie per l’effetto ritardato dello sviluppo di malattie e dell’età di morte”.

Considerare anziani i 65enni è fuori luogo aggiunge la SIGG “perché risultano in forma come i 55enni di 40 anni fa. Secondo un’indagine presentata alla London School of Economics, condotta intervistando oltre 12mila over 65 in diversi Paesi, due ultrasessantacinquenni italiani su tre dichiarano di non sentirsi affatto ‘anziani’. Quattro su dieci pensano che la vecchiaia inizi davvero solo dopo gli ottant’anni: incoscienza giovanilistica di una generazione, o visione realistica di una terza età che non ha più i capelli grigi? Considerare anziano un 65enne oggi è anacronistico: a questa età moltissimi stanno fisicamente e psicologicamente bene. Sono nelle condizioni in cui poteva trovarsi un 55enne una quarantina d’anni fa. Per questo affermano di non sentirsi vecchi: non lo sono e se hanno qualche piccolo acciacco lo tollerano senza troppi drammi. Anche una ricerca dell’Università svedese di Goteborg ha dimostrato che i 70enni di oggi sono più ‘svegli’ dei loro coetanei di 30 anni fa: ai test cognitivi e di intelligenza ottengono risultati migliori, probabilmente perché sono più colti, più attivi e meglio curati rispetto al passato.”

Naturalmente i problemi già menzionato restano, ma se questa situazione offrisse anche delle opportunità di sviluppo al Paese? E’ questa la convinzione emersa, ad esempio, di recente alla prima edizione di Agevity, un evento nazionale promosso dal Silver Economy Network e da Assolombarda con l’obiettivo di valorizzare la longevità rendendola una leva per lo sviluppo sociale ed economico del Paese.

“L’invecchiamento della popolazione, oltre ad essere un dato oggettivo, è anche un fattore strategico per il sistema occupazionale, produttivo e sociale – ha dichiarato il Presidente di Assolombarda, Alessandro Spada -. È certamente un fenomeno che riguarda l’evoluzione demografica del Paese ma va, allo stesso tempo, considerato come una opportunità per lo sviluppo di nuovi modelli che sappiano intercettare le esigenze attuali e future di una struttura sociale che muta, a favore di un percorso di longevità sostenibile. Per questa ragione, è necessario mettere a sistema nuove sensibilità per una società sempre più inclusiva, conciliando le aspettative della popolazione in età più avanzata con le aspirazioni delle nuove generazioni. Con Agevity, anche la nostra città, nella sua concezione più ampia, mira a diventare polo internazionale della longevity economy poggiando su una già solida collaborazione tra pubblico e privato, capace di non lasciare indietro nessuno”. Nel corso di Agevity, è stata illustrata la ricerca “Scenario Longevità. Rapporto 2023”.

Un documento realizzato dal Silver Economy Network con la collaborazione di Assolombarda e Lattanzio KIBS per favorire la nascita di un dibattito sull’evoluzione strutturale dello scenario demografico e sociale dell’Italia, anche in riferimento all’incremento dell’aspettativa di vita che è aumentata di oltre tre anni a partire dal 2000. Per quel che riguarda l’economia, dal Rapporto che oggi i “senior” generano oltre 184 miliardi di euro in termini di consumi, pari a circa un quarto della spesa delle famiglie italiane. Se si considera la popolazione “over 50” il reddito complessivamente generato è pari a 461,8 miliardi di euro, con un’incidenza sul PIL nazionale del 27,5%. La stima dei consumi del target senior, invece, supera il 20% del valore totale a livello nazionale, attestandosi intorno ai 185 miliardi di euro.

Il documento si sofferma anche sul tema del lavoro: dal 2010 al 2022, l’occupazione che riguarda gli “over 50” è aumentata dal 26% del totale degli occupati al 39%. I senior, di conseguenza, appaiono sempre di più come co-protagonisti dello scenario occupazionale. Una circostanza che richiederà, nel prossimo futuro, anche l’adozione di nuove dinamiche legate al trasferimento di competenze tra giovani e adulti e al passaggio generazionale. Il rapporto ha, infine, messo in luce quattro elementi che restituiscono un identikit dei “longennials” : il 66% dichiara di possedere le competenze per l’utilizzo di soluzioni di medicina digitale; in Italia, i due terzi dei patrimoni superiori ai 200mila euro sono gestiti da “over 55” e il segmento più “evoluto” si rivolge, addirittura, al fintech; la spesa turistica degli italiani “silver” è stimata in circa 5 miliardi, ai quali ne vanno sommati altrettanti che provengono dal turismo silver straniero (in particolare, tedesco, francese, inglese e statunitense); i “longennials” usano gli e-commerce più che nel passato: sono aumentati del 16% gli utenti che, dopo la pandemia, acquistano su marketplace e portali aziendali.

Un patrimonio, insomma, sia in termini di offerta che soprattutto di domanda che potrebbe rappresentare una vera e propria miniera d’oro per l’Italia se ci fosse uno sforzo coordinato per intercettarne le necessità. E che potrebbe addirittura candidare un paese già a vocazione turistica come il nostro ad un posto di hub della longevity economy a livello internazionale.

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