C’è una tragedia tutta italiana di cui nessuno parla più. Eppure si tratta di morti, lavoratori morti per il lavoro. I dati più recenti del 2023 diffusi dall’“Osservatorio Sicurezza sul Lavoro e Ambiente Vega Engineering di Mestre” parlano di 500 vittime già a fine agosto scorso, confermando un andamento che ormai non cala da anni. E la fascia d’età numericamente più colpita dagli infortuni mortali sul lavoro è sempre quella tra i 55 e i 64 anni (178 su un totale di 500) di cui 97 riguardano stranieri.

Non si tratta quasi mai di fatalità ma di veri e propri omicidi dovuti al mancato rispetto da parte del datore di lavoro delle norme di sicurezza, soprattutto nel settore delle costruzioni, del trasporto e del commercio. Il tutto agevolato dalla scarsezza dei controlli che, peraltro, richiedono un personale preparato e adeguato.

Merita una menzione, quindi, una recentissima sentenza della Cassazione (Sez. IV, 25 settembre 2023 – ud. 27 giugno 2023, n. 38914) in cui, per la prima volta, per un infortunio mortale è stato condannato per concorso di colpa in omicidio, insieme al datore di lavoro, anche il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS). Si è accertato, infatti, che il lavoratore, morto per schiacciamento, era stato assunto con mansioni e qualifica di impiegato tecnico ma adibito poi ad operazioni di stoccaggio merci senza avere ricevuto la necessaria formazione tecnica per tale mansione, in particolare per l’uso dei mezzi di sollevamento.

Obbligo che, ovviamente, compete in prima battuta al datore di lavoro ma, come evidenzia la Suprema Corte, coinvolge anche (art. 50 D. Lgs. 81/2008) la responsabilità del RLS “quale soggetto fondamentale che partecipa al processo di gestione della sicurezza dei luoghi di lavoro, costituendo una figura intermedia di raccordo tra datore di lavoro e lavoratori, con la funzione di facilitare il flusso informativo aziendale in materia di salute e sicurezza sul lavoro”; pertanto, l’imputato non ha in alcun modo ottemperato ai compiti che gli erano stati attribuiti per legge, consentendo che il lavoratore fosse adibito a mansioni diverse rispetto a quelle contrattuali, senza aver ricevuto alcuna adeguata formazione e non sollecitando in alcun modo l’adozione da parte del responsabile dell’azienda di modelli organizzativi in grado di preservare la sicurezza dei lavoratori”.

Ci sarà tempo e modo per commentare approfonditamente questa sentenza che – lo ripeto – per la prima volta chiama in causa, per omicidio colposo, anche la responsabilità del RLS. Ma, di certo, sembrano del tutto fondate alcune prime preoccupazioni espresse (su Italia Libera, 26 ottobre 2023) da un esperto del settore quale l’ex magistrato Raffaele Guariniello, il quale, dopo questa sentenza, chiede al legislatore e alle organizzazioni sindacali su quali risorse e su quali esperti può contare l’RLS che intenda sottoporre a verifica le informazioni e valutazioni espresse dal datore di lavoro o dal RSPP o dal medico competente. Perché altrimenti si condanna qualcuno, ma le morti bianche continuano.

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