di Fabio Gardi

E’ sconcertante che la legge di bilancio tagli agli enti locali la cifra di 600 milioni di euro l’anno, quando il ministro Calderoli e il suo partito, la Lega, si affannano a disegnare quell’autonomia differenziata in odore di secessione.

Se il fondo perequativo, pur presidiato dalla Costituzione, dovesse saltare, di fatto il sud Italia non si limiterebbe nell’anagrafica più giovanile, ma nella interezza della sua popolazione, ad emigrare nelle ricche regioni del nord per trovare – non solo nella vita, ma anche nella morte – una parvenza della dignità cristiana teorizzata da Papa Francesco.

Eh già, perché il sistema sanitario meridionale è al limite del collasso: c’è chi si affida ai medici cubani, chi attacca il numero chiuso nelle facoltà di medicina, chi si affida totalmente alle strutture private e chi si lambicca il cervello a trovare i quattrini per i rimborsi alla sanità del nord.

I livelli essenziali di assistenza sono quelli della Repubblica di Platone, corruzione dilagante, ultimo caso in Calabria: quattro amministrativi e un tecnico di laboratorio dell’azienda ospedaliera di Cosenza accusati di aver hackerato il sistema informatico interno al fine di gonfiare le proprie buste paga sino ad oltre 200 mila euro di straordinario. La Procura indaga.

Nel frattempo, i governatori approfittano della inconsistente autorevolezza dei partiti, nonché dell’assenza del limite di mandato per ricandidarsi a vita e gestire a proprio uso e consumo (segreteria elettorale) gli uffici regionali. I presidenti di provincia non hanno capito quale sia il loro futuro se non quello di tagliare nastri e presenziare ad inutili passerelle, mentre i sindaci, allergici al contrasto di evasione fiscale ed abusivismo edilizio, elemosinano quotidianamente risorse nazionali ed europee senza progettazione alcuna di lungo periodo che non sia quella delle famigerate cattedrali nel deserto a scopi clientelari ed elettorali.

Denatalità, criminalità ed emigrazione giovanile completano un triste quadro i cui colori non verranno certo schiariti dal decreto “Caivano” in via di approvazione al Senato.

A prescindere dall’assenza di una politica per il Mezzogiorno del governo Meloni in grado non di risolvere, per carità, ma quanto meno di rinvigorire l’attenzione sulla atavica questione meridionale, ci si chiede che senso abbia parlare di ulteriori riforme di rango costituzionale quali il “premierato” con una ministra, Casellati, letteralmente scomparsa dai radar del dibattito politico.

Come al solito, copione già visto con le innumerevoli bicamerali, in Italia “tutto si muove perché nulla cambi”. Il naufragio delle riforme costituzionali è nel Dna del legislatore e delle legislature che navigano a vista: considerate le avversità per le riforme istituzionali aspettiamoci l’abisso, questa volta non solo delle legittime aspettative del “cambio dei tempi”, ma dell’integrazione europea e globale della terza Repubblica italiana.

C’è solo da sperare che si arrivi ad una quarta Repubblica, senza volare alto, con lo spirito della “Città del sole” di Campanella: restando con i piedi in Europa e nel mondo senza conflitti, transizione ecologica e digitale permettendo!

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