In questi giorni lo scherzetto non è l’alternativa al dolcetto dell’appena trascorsa notte di Halloween, ma la clamorosa beffa alla Presidente del Consiglio dei Ministri presa all’amo da due comici russi. L’episodio non suscita alcuna ilarità, ma inquieta chiunque sia dotato di ordinario buon senso e lascia legittimi dubbi in chi si chiede come sia potuto succedere.

La ricostruzione dei vari passaggi, che hanno portato a collegare telefonicamente Giorgia Meloni con il presunto diplomatico africano, diciamo eufemisticamente che mostra qualche carenza di protocollo ed evidenzia un non so che di dilettantesco. Se l’imperizia può esser perdonata a volenterosi apprendisti, riesce difficile “assolvere” chi lavora a stretto contatto di gomito con chi guida il Paese.

Prescindendo dal rischio di burle più o meno innocenti, chi ha incarichi di responsabilità pubblica o addirittura la cloche di pilotaggio dell’Italia dovrebbe sapere che il telefono non è lo strumento più raccomandabile per comunicare con chicchessia. I cartelli che un tempo – in contesti top secret – venivano posizionati in prossimità di apparati fissi per ricordare che quegli oggetti non erano mezzi sicuri, sono passati di moda quando una giovane Sabrina Ferilli in uno spot del settembre 2000 ha declamato il fatidico “Quanto ci piace chiacchierare”, frase destinata a consacrare la pessima abitudine cui non va esente nemmeno la Premier.

La permeabilità della riservatezza delle comunicazioni fisse e mobili non è certo una novità: qualsivoglia telefonata “in chiaro” (vale a dire non adeguatamente crittografata) è storicamente insidiata dalla possibilità di intercettazione da parte di “curiosi”. La potenziale presenza di insidiose “orecchie”, distribuite lungo la linea fisica o radio, dovrebbe indurre ad un impiego dello strumento telefonico che sia ridotto all’essenziale in termini di contenuti e di tempi.

Riesce difficile immaginare che ci si lasci andare in conversazioni ad ampio spettro, facili a far trapelare informazioni appetibili per ipotetici avversari, in un momento storico in cui gli equilibri internazionali manifestano una criticità senza precedenti.

L’enormità del carico di lavoro (esasperato da un possibile accentramento decisionale) e l’accatastarsi di impegni e scadenze inducono a comprensibile stanchezza e perdita della dovuta attenzione. La telefonata che accelera i contatti si tramuta nel tallone d’Achille. Le mancate verifiche dell’identità dell’interlocutore tramutano un dialogo a due in un discorso “a reti unificate”: chi è dall’altro capo del filo potrebbe non essere la persona con cui si crede di parlare, avere intenzioni diverse da quelle manifestate nella richiesta di colloquio, spingere a fare dichiarazioni capaci di compromettere chi le rilascia, rivelarsi pronto a divulgare le chiacchiere fatte e magari puntualmente registrate…

Viviamo un’epoca in cui il “campionamento” della voce e l’intelligenza artificiale riescono a costruire audio e video talmente verosimili da far “incastrare” innocenti ed estranei a qualunque vicenda di rilievo processuale o istituzionale. Se siamo dinanzi a scenari in cui servono a poco le precauzioni “tradizionali”, è mai possibile concedersi la libertà di spianare la strada al primo malintenzionato di sorta non facendogli nemmeno fare sforzi tecnologici per mettere in imbarazzo la “vittima” e il Paese che rappresenta?

Probabilmente devono essere rivisitate le procedure di sicurezza che non sembrano aver dato risultati soddisfacenti. Ma non bastano le regole o gli strumenti di protezione, perché l’anello debole è rappresentato dagli esseri umani coinvolti in certe attività. L’elenco potrebbe essere lungo: chi non ha raccomandato di evitare l’uso del telefono per chiacchierare, chi non ha detto dell’esistenza di una gang di comici che sfotte i vip della politica mondiale, chi non ha saputo che stava per uscire la bomba mediatica dello scherzo, chi genericamente ha permesso che tutto questo accadesse…

In queste circostanze ci si accorge che – non ce ne voglia Massimo Lopez – la telefonata non allunga la vita… Forse è il caso di non sorridere dinanzi ad un episodio che non è affatto faceto, ma che fotografa il livello di prudenza adottata e di vulnerabilità nazionale.

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