Tre mesi d’attesa. Una settimana di vigilia infinita, preparativi per l’accoglienza e propositi di rivalsa. 30mila fischietti comprati, autorizzati, poi vietati, comunque distribuiti. E non c’è manco stato bisogno di utilizzarli. Del grande ritorno di Romelu Lukaku a San Siro non si è accorto praticamente nessuno: non serviva nemmeno fischiarlo, è bastato dimenticarlo. Lo aspettavano tutti, da una parte e dall’altra, nel bene o nel male, forse anche lui stesso per dimostrare sul campo la sua ragione. Ma la partita di Lukaku da avversario contro l’Inter è stata semplicemente imbarazzante: non ha tirato in porta, il boato che avrebbe dovuto bersagliarlo ad ogni tocco non si è mai sentito perché lui non ha praticamente visto la palla. Un po’ come tutta la Roma, sconfitta solo allo scadere ma dopo novanta minuti di catenaccio e dichiarata subalternità, ma questa ormai non è una notizia per la squadra di Mourinho. Beffa delle beffe, il gol decisivo lo ha segnato Thuram, il suo erede in nerazzurro, e ci è mancato solo che scimmiottasse la sua esultanza come aveva fatto all’esordio.

Si è parlato tanto di questo incrocio di Lukaku con la sua ex squadra, non troppo, perché è bello che nel calcio moderno ci si sorprenda ancora del voltafaccia di un calciatore. Il giorno che non succederà più vorrà dire che ci saremo completamente assuefatti alla logica dello show business, e allora ben vengano i fischietti, le esultanze polemiche e quant’altro, finché restano in confini civili. Ma a guardarla con distacco, senza moralismi o giudizi etici sul comportamento di Lukaku, bisognerebbe dire che la sua è stata semplicemente una pessima giocata. Parlano i fatti. Non entriamo nel merito di quanto accaduto in estate, visto che tanto la verità non la conosceremo mai (e personalmente siamo convinti sia un po’ diversa dalla versione ufficiale della società buona tradita e del calciatore cattivo traditore), la realtà oggi è che l’Inter ha fatto un ottimo affare e Lukaku uno pessimo. E le due cose sono strettamente collegate fra loro.

I nerazzurri sembrano aver trovato un altro attaccante di caratura mondiale, meno costoso, più giovane di quattro anni e persino più adatto al gioco corale predicato da Inzaghi, con le sue abilità tecniche di rifinitore e non solo di centroboa un po’ impacciato con la palla fra i piedi. Si dirà che Thuram non era l’alternativa a Lukaku ma a Dzeko, e che i due avrebbero dovuto coesistere nei piani nerazzurri: a parte che ciò è tutto da dimostrare per una società coi conti disastrati come l’Inter, comunque di sicuro il francese non si sarebbe affermato così presto se ci fosse stato ancora il belga a fargli ombra. Lukaku, invece, è passato dalla finalista di Champions League a una squadra che la Champions non la gioca e continuando così rischia di non giocarla nemmeno l’anno prossimo. Diceva di non sentirsi valorizzato negli schemi di Inzaghi, ma con Mourinho non becca palla. I suoi calcoli sono stati tutti sbagliati. Forse era convinto di andare alla Juventus e di fargliela pagare, oppure di accasarsi comunque in un top club europeo. Invece il downgrade (con tutto il rispetto per la Roma) è stato evidente, e alle porte dei trent’anni ormai definitivo per la sua carriera.

Attenzione, questo non vuol dire che Lukaku non sia un grande attaccante, in grado ancora di spostare gli equilibri in Serie A, che non segnerà tanti gol (lo sta già facendo negli schemi di Mourinho, per cui è perfetto) e che l’Inter non lo rimpiangerà. Con Arnautovic smarrito in infermeria e Sanchez non all’altezza, i nerazzurri hanno un reparto offensivo comunque meno competitivo dello scorso anno, e al primo malanno di Lautaro o Thuram pagheranno dazio. Con tutti i suoi limiti, “Big Rom” avrebbe fatto comodo a Inzaghi, come lo farebbe a chiunque, e alla lunga la sua assenza potrebbe pure risultare decisiva per lo scudetto. Ma forse mancherà più l’Inter a Lukaku che Lukaku all’Inter. Per lui è un pensiero più assordante di un boato di fischi.

Twitter: @lVendemiale

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