All’inizio, un suono tenue. Sembra il campanello di bordo di un aereo di linea prima dell’atterraggio, e siamo subito trasportati in un’atmosfera ovattata, sorvolando a bassa quota i paesaggi incontaminati della Sardegna come in un sogno. Da qualche parte, sta per accadere qualcosa. Sembra la preparazione di un rito ancestrale. E finalmente si atterra in un backstage appena in tempo per lo spettacolo. La fotografia in bianco e nero ci restituisce tutta l’austera dignità e la magia di questa terra.

Torna in mente un’altra campagna per un cliente sardo, sempre in bianco e nero, girata negli anni ’90 da Tony Kaye per Tiscali, con un collage di immagini incongruenti montate su un testo che non accennava nemmeno un po’ alle origini del brand. Scelta voluta, visto che si trattava di un Internet provider e si doveva ancora spiegare agli italiani i vantaggi del poter lavorare con tutto il mondo standosene a casa. Col risultato, però, che lo spot sarebbe andato bene per qualsiasi altro Internet provider: di sardo non c’era nulla, nemmeno l’ombra.

L’agenzia Sedplus, invece, non perde l’occasione di dimostrare come si possa fare una comunicazione istituzionale con mezzi infinitamente più poveri ma con grande efficacia e un’idea semplicissima: il backstage di una foto per la campagna di auto promozione dell’agenzia diventa a sua volta spot pubblicitario. A dimostrazione che i creativi bravi sono capaci di cavar fuori strategie efficaci anche dal nulla, in questo caso mostrando ai potenziali clienti quanto lavoro c’è dietro anche a uno scatto fotografico ed educandoli così al buon uso della pubblicità. Appena uscita, questa piccola grande idea ha già vinto la Targa Oro dell’OpenArt Award 2023.

È la dichiarazione di un programma: la volontà di realizzare una via sarda alla comunicazione. E lo fa portandoci nel teatro di un grande rito propiziatorio: ci sono i fondatori dell’agenzia e ci sono i Mamutzones, le maschere ancestrali della tradizione sarda, che sembrano angeli custodi o meglio demoni buoni che presenziano al rito proteggendo il luogo, i fondatori dell’agenzia e, chissà, forse anche i loro clienti.

È finita l’epoca imperiale della pubblicità con potentati accentratori a Milano e a Roma. Stanno nascendo da tempo magnifiche realtà alternative nei territori, sempre più spesso in provincia. La pubblicità italiana ha bisogno più che mai di operatori come questi, che tengano alta la bandiera della professionalità soprattutto ora, in tempo di crisi, per sostenere la famosa “ripartenza” che ancora non si vede.

Articolo Precedente

Il caso Camilla Läckberg ha a che fare da vicino con la questione dell’intertestualità

next
Articolo Successivo

Ezra Pound, l’influenza e le contraddizioni del poeta nel nuovo spettacolo al Teatro della Pergola di Firenze

next