Giornata in chiaroscuro per l’umore di Vincenzo De Luca. A Roma è stato assolto dall’accusa di induzione indebita il capo della sua segreteria, Nello Mastursi; a Salerno vogliono condannare il figlio Piero, deputato del Pd alla seconda legislatura, a due anni e due mesi per la bancarotta fraudolenta della società Ifil. Il caso ha voluto che nella giornata di mercoledì si incrociassero due vicende giudiziarie che non hanno nulla in comune, se non il fatto di stare a cuore al governatore della Campania.

Nello specifico, a Roma oggi è arrivata la sentenza di appello nel processo che vedeva Mastursi imputato (e condannato in primo grado col rito abbreviato a 18 mesi) di aver compiuto nel 2015 manovre su un giudice civile per evitare che De Luca – condannato in primo grado nel processo sulla costruzione del termovalorizzatore di Salerno, poi assolto in appello – venisse sospeso dalla carica di governatore in base alla legge Severino. Il coinvolgimento di un magistrato del distretto di Napoli radicò fascicolo e processo nella Capitale, mentre Mastursi lasciava l’ufficio di Palazzo Santa Lucia, la sua carica di capo della segreteria del presidente e anche il suo ruolo nella direzione regionale del Pd. Poi l’oblio e il perdono di De Luca, che già da tempo lo ha riassunto nello staff come segretario particolare, gli ha affidato il compito di costruire la coalizione con la quale nel 2020 ha rivinto le elezioni regionali, e di allestire le liste civiche (Campania Libera, De Luca presidente) che hanno accompagnato i partiti di centrosinistra nel trionfo. “Nonostante la prescrizione, la Corte d’Appello di Roma ha assolto il mio assistito per non aver commesso il fatto, certificandone la totale estraneità a condotte illecite“, dichiara in una nota Felice Lentini, legale di Mastursi.

Più o meno nelle stesse ore a Salerno si è svolta la requisitoria del pm nel processo sul crac della Ifil, la società di Mario Del Mese che avrebbe dovuto occuparsi della vendita degli appartamenti da ricavare con la riconversione (mai realizzata) del pastificio Amato di Salerno. All’epoca, secondo la Procura di Salerno, la Ifil, finita in rovina anch’essa dopo il fallimento del pastificio, era la scatola nella quale far transitare e ripulire le tangenti di alcune discusse operazioni in corso al Comune di Salerno, dove regnava un blocco di potere capeggiato da Vincenzo De Luca. Ma questa accusa non ha trovato riscontri, e il processo riguarda la sola ipotesi di bancarotta fraudolenta. Piero De Luca è coinvolto (la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati risale al marzo 2015) perché Peppino Amato jr aveva messo a verbale che “Mario Del Mese sosteneva che Piero De Luca fosse socio occulto della Ifil” e che, approfittando dei suoi viaggi di lavoro, ne nascondesse le risorse in conti correnti nel Lussemburgo. De Luca Jr e Del Mese hanno sempre negato, ma il pm e la Finanza hanno trovato biglietti aerei per 23mila euro comprati dalla Ifil a De Luca e alla moglie per viaggi in Lussemburgo. Di qui la richiesta di condanna di ieri a due anni e due mesi per il rampollo del presidente campano. La sentenza è prevista entro un paio di mesi.

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