Forse dal prossimo anno non sarà più possibile associarsi solo tra donne in Italia. O meglio: sarà possibile creare associazioni di sole donne, ma senza avere l’accesso al registro come Aps, cioè come associazione di promozione sociale, perdendo dunque la possibilità di partecipare alla stragrande maggioranza dei bandi nazionali, che per lo più richiedono questa caratteristica per essere valutati, accolti e finanziati.

Non è un fatto meramente tecnico, ma bensì assume un connotato politico: non essere iscritte al registro delle associazioni come Aps, e quindi poter essere inserite solo nel registro ‘minore’ degli altri enti del Terzo settore, comporta logicamente una netta diminuzione della possibilità di accesso alle risorse economiche pubbliche e private. Se alla già complessa partecipazione ai bandi aggiungi anche un declassamento il risultato è, garantito, meno futuro, più povertà e rischio di smettere di esistere.

Prendiamo per esempio alcune storiche associazioni di donne, come Arcilesbica, nata ufficialmente nel 1996, che associa donne (lesbiche e non); o Udi (Unione donne italiane), una tra le prime e più autorevoli associazioni di donne in Italia, che nasce nel 1944 e che per decenni stamperà la prima testata femminista, Noidonne. O il Cif, di stampo cattolico, anch’esso nato nel 1944. Dall’inizio dell’autunno 2023 hanno iniziato ad arrivare le prime lettere da parte delle Regioni dove sono registrate le associazioni di donne, notificando che senza un cambio statutario le associazioni non potranno più essere accolte nel Runts, il registro nazionale del Terzo settore. In Emilia Romagna, a meno che non vengano apportate modifiche agli Statuti, l’Udi di Ferrara, di Modena e di Ravenna (accusate di discriminare gli uomini non ammettendoli all’associazione), saranno cancellate dal Runts, così come la stesa Arcilesbica, che ha a Bologna la sede nazionale.

Le tre Udi emiliano romagnole, di concerto con Udi Nazionale, hanno posto un quesito interpretativo del decreto 117/2017 al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e chiesto alla Regione Emilia-Romagna di sospendere la scadenza del 21 ottobre in attesa della risposta del Ministero. Lo stesso ha fatto Arcilesbica, che chiarisce: “Arcilesbica è un’associazione di donne perché il lesbismo è un’esperienza di donne. L’accesso all’associazione è aperto, perché tutte le donne senza discriminazione possono associarsi. Anche con la nuova legge dovrebbe essere riconosciuto che il tesseramento femminile è coerente con le finalità perseguite da un’associazione lesbica, cioè lottare contro la violenza ai danni delle donne, e ciò è di interesse generale. Per queste ragioni abbiamo chiesto l’iscrizione come APS”.

Le attiviste sostengono che “una interpretazione discutibile della legge da parte degli uffici regionali del Runts è alla base di questa situazione. In ballo c’è la sopravvivenza stessa dell’associazionismo femminista separatista, quello che in 80 anni di storia, per quel che concerne l’Udi, ha lavorato strenuamente nottetempo nel solco dell’articolo 3 della Costituzione per una sua piena applicazione. Vani fino a ora i tentativi informali di spiegare che l’affiliazione esclusivamente femminile non è un dettaglio per le associazioni femminili, né una svista statutaria a cui porre con solerzia rimedio con una banale revisione di editing, ma il presupposto stesso della nostra costituzione, la ragione intrinseca e sostanziale della natura del nostro agire politico, che elaboriamo e mettiamo in atto con l’obiettivo di colmare lo svantaggio sociale che, da sempre, grava sulle donne a causa della normalizzazione secolare della disparità di potere fra i sessi definita dal Patriarcato e che solo le lotte dell’ultimo secolo delle donne hanno rilevato, tematizzato e denunciato creando mobilitazione attorno alla costruzione di una cultura e una società diversa da quella che conosciamo con le donne protagoniste”.

Alla vigilia dello scadere dell’ingiunzione pena la cancellazione è stata presentata una interrogazione parlamentare del Pd sulla vicenda alle ministre Roccella e Calderone per fare in modo che l’attività di UDI e delle altre associazioni di donne non sia messa a rischio da provvedimenti che, interpretando il principio antidiscriminatorio in modo esclusivamente formale, finiscono per negare la pari dignità sociale di queste realtà associative.

Foto di Giovanni Dall’Orto

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