Forse è colpa dello streaming parlamentare ma mentre ieri andava in onda l’audizione di Salvatore Borsellino e dell’avv. Repici il viso della presidente Colosimo si faceva sempre più terreo. Come ha sapientemente sintetizzato su ilfattoquotidiano.it Giuseppe Pipitone, l’audizione si rendeva necessaria perché negli anni si sono evidenziate distanze interpretative sempre più marcate tra i componenti della famiglia Borsellino rispetto alla lettura della strage di Via D’Amelio.

La presidente Colosimo, che dopo aver dichiarato il proprio impegno morale a fare luce in particolare sui cinquantasette giorni trascorsi tra le due stragi del 1992 ovvero sui motivi della così detta “accelerazione” della strage di via D’Amelio, aveva dato un segnale non irrilevante sulla strada che avrebbe voluto percorrere, incontrando appena insediata a Palazzo San Macuto l’ex prefetto Mori, non ha potuto evitare di allargare le audizioni anche a Salvatore Borsellino ed al suo avvocato Fabio Repici. Ma la chiave interpretativa assunta dai due auditi è notoriamente molto diversa se non in tutto, almeno in gran parte rispetto a quella offerta dall’avvocato Trizzino, che rappresenta i figli di Paolo Borsellino.

Una differenza che non sta tanto nella lettura del contesto storico complessivo, né in quella della condotta dei “giuda” ovvero di alcuni colleghi magistrati, né tanto meno in quella del peso attribuito ai mafiosi. D’altra parte oltre trent’anni di vicende processuali hanno cristallizzato in maniera indiscutibile più di un elemento di verità. Ma quale importanza attribuire, per dirla in sintesi con un nome ed un cognome, a Paolo Bellini? Cioè quale peso attribuire a quella ricostruzione che inserisce le stragi del ’92 e del ’93 (fino a quella fallita del ’94 all’Olimpico) in una strategia criminale complessa nella quale peso rilevante ebbero volontà di natura eversiva ed anti democratica, che saldarono insieme ambienti neo-fascisti, pezzi di apparati di sicurezza anche “coperti”, ambienti politico, imprenditoriali, massonici (decaduti alcuni, in espansione altri), con le principali organizzazioni mafiose (la Cosa Unica come emerge dai processi celebrati a Reggio Calabria)? Quale peso attribuire all’ipotesi secondo cui queste volontà (“raffinatissime”) cercarono di costringere lo Stato, che pure avrebbe attuato una reazione durissima contro Cosa Nostra, a più miti consigli? Arrivando forse pure a suggerire di cooptare in certe compagini politiche uscite dal “Terzo Dopoguerra italiano” ed in una miriade di ruoli istituzionali o para istituzionali una buona parte di quegli attori? Per quel poco che può valere, in questo senso ho maturato, la mia personalissima interpretazione della “pacificazione” tante volte evocata in Parlamento nel decennio passato ed in particolare argomentata in un magistrale ed indimenticabile intervento dell’allora on. Brunetta, oggi a capo di un Cnel mai così produttivo.

E più l’avvocato Repici tirava il filo che lega le stragi del ’92 con la bomba alla stazione di Bologna e più il volto della Presidente diventava terreo. Ecco perché temo che presto il lavoro della Commissione sulla strage di Via D’Amelio verrà messo su un binario morto. Magari decidendo di allargare l’oggetto della indagine a dismisura, così che non basterebbero tre Legislature per arrivare ad un punto, invece di concentrarlo su un singolo ma ancora praticabile obiettivo.

Ho come l’impressione che qualcuno presto o tardi farà notare alla Presidente che è molto meglio continuare a fare come ha fatto ieri mattina, cioè poche ore prima dell’audizione di Salvatore Borsellino e Fabio Repici. Infatti ieri mattina la Presidente diceva la sua intervistata dall’ineffabile Marcello Foa all’interno di quella pretenziosa trasmissione radiofonica intitolata “Giù la maschera!”, introdotta da stacchetti musicali pateticamente ribellisti. Il Foa ha intrattenuto il pubblico facendo domande così “pettinate” alla presidente da consentirle di sfoggiare tutto il repertorio ormai mandato a memoria su Caivano, sulla droga, sulla internazionalizzazione della mafia italiana, su quanto siano ricche e pericolose per l’economia nazionale… etc.etc. Il Foa avrebbe meglio declinato il titolo della sua trasmissione chiedendole come stiano insieme quelle sue parole sulla mafia così risolute, con i provvedimenti che la maggioranza sta prendendo in materia di sub appalti, uso del contate, condoni fiscali, gioco d’azzardo, separazione delle carriere, libertà di informazione, misure di prevenzione patrimoniali, il traffico di influenze, l’abuso d’ufficio…

Così, giusto per richiamare quel vecchio armese ideologico che si chiamava “pratica degli obiettivi”.

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