Io ero lì. Nel kibbutz di Kfar Aza dove ero andata a trovare la mia famiglia. Non ho idea di come questa vicenda influenzerà il resto della mia vita. Se riuscirò a non avere paura di ogni piccolo rumore, a non immaginare i colpi di arma da fuoco nel mezzo della notte. Ma di una cosa sono certa più che mai: dobbiamo interrompere questo ciclo di morte“. È un editoriale carico di disperazione e rabbia quello della giornalista israeliana Ziv Stahl, che sul quotidiano progressista Haaretz racconta il momento in cui le milizie di Hamas hanno invaso la comunità nel sud di Israele salita agli onori della cronaca come il kibbutz degli orrori per le violenze sui civili, tra cui anche molti bambini, perpetrate durante l’attacco di sabato 7 ottobre.

“Io c’ero”, scrive Stahl, ricordando il momento in cui, nascosti nel bunker di famiglia, insieme a parenti e vicini hanno accolto sorella e cognato, entrambi feriti dagli estremisti islamici. Ripercorre la sensazione di panico, il terrore e il buio di quei momenti, con “l’odore del campo di battaglia che ha riempito i prati e i marciapiedi della mia infanzia ancora nelle narici”. L’obiettivo del’articolo, però, non è condannare i palestinesi. Non è chiedere la distruzione della Striscia di Gaza. Il pensiero rimane rivolto alla pace: “Dobbiamo impiegare tutto il nostro potere e le nostre risorse per l’obiettivo finale, ovvero creare un futuro di pace sicuro per tutti quelli che abitano questo posto”, scrive, sottolineando con decisione che il conflitto “non finirà con parole come ‘deterrenza‘, il ‘colpo finale‘ e ‘decisivo‘”. Al contrario, “la quiete arriverà solo attraverso soluzioni politiche“.

La critica alla risposta con cui Tel Aviv sta affrontando la crisi sulla Striscia è lampante. “Non ho bisogno di vendetta. Niente mi restituirà le persone che ho perso”. La cognata, la compagna di classe, la migliore amica d’infanzia della madre. La lista delle vittime di cui la giornalista ha visto gli attimi finali è lunga, ma anche la perdita dei suoi cari non basta per accecarla e distogliere l’attenzione da coloro che lei, come la maggior parte dei colleghi di Haaretz, ritiene responsabili dell’escalation violenta tra Israele e Striscia di Gaza: i membri l’amministrazione del premier BenjaminBibiNethanyahu. “Ho bisogno di sapere che ci sono coloro che pensano e si preoccupano anche adesso del futuro di chi resta, del futuro di Kfar Azza e dintorni, del futuro di tutti gli esseri umani che vivono qui, israeliani e palestinesi insieme”, continua Stahl. E ancora ribadisce che “il bombardamento indiscriminato a Gaza e l’uccisione dei civili coinvolti in questi terribili crimini non sono la soluzione. Al contrario, questo è il modo in cui si prolunga la violenza, il dolore, il lutto”. Stahl conclude solenne: “Non sono naïve, so bene quanto sarà difficile , ma come hanno provato gli ultimi vent’anni, e ancora di più gli eventi di questo terribile Shabbat, tutta la forza militare del mondo non ci darà sicurezza e difesa. Quella politica è l’unica soluzione possibile. Siamo obbligati a provarci. E dobbiamo farlo da oggi”.

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