Associazione di tipo mafioso, estorsioni aggravate dal metodo mafioso, corruzione ed altro aggravati dalla finalità mafiose. Sono i reati contestati a vario titolo nei confronti di 9 persone colpite da un fermo di polizia giudiziaria emesso dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli nell’ambito di un’operazione a Caivano e in alcuni Comuni vicini. I 9 sono stati fermati in quanto “gravemente indiziati“. Coinvolti anche alcuni esponenti della precedente amministrazione del Comune di Caivano. Tra loro anche esponenti di Italia Viva, che era in maggioranza con il precedente sindaco di Caivano. A essere fermati sono stati tra gli altri Armando Falco (ex segretario cittadino del partito), Giovanbattista Alibrico (consigliere comunale), Carmine Peluso (ex assessore), Martino Pezzella e Vincenzo Zampella (entrambi tecnici comunali). Gli altri fermati sono Raffaele Bervicato (braccio destro del capoclan Antonio Angelino), Massimiliano Volpicelli (incaricato di attuare le direttive di Angelino), Domenico Galdiero e Raffaele Lionelli (entrambi accusati di aver messo in atto le estorsioni).

In una nota Ciro Buonajuto, coordinatore regionale e portavoce nazionale di Italia Viva, precisa che Peluso e Alibricio “non sono mai stati iscritti” a Italia Viva, mentre Falco è stato iscritto soltanto nel 2021 senza mai rinnovare l’adesione. Peluso e Alibrico, che facevano parte del gruppo consiliare Orgoglio Campano, avevano aderito nel 2021 a quello di Italia Viva. Le spaccature nella maggioranza del sindaco Enzo Falco portarono poi nel 2022 alle dimissioni di 13 consiglieri su 24, determinando quindi lo scioglimento e la nomina di un commissario straordinario, tuttora in carica.

Tra le accuse contestate ai tre politici locali la più grave è la partecipazione all’associazione camorristica che faceva capo ad Antonio Angelino e che opera sul territorio di Caivano e nelle sue vicinanze al fine di acquisire il controllo delle attività economiche anche attraverso estorsioni, condizionare le gare di appalto del Comune di Caivano, a garantire l’impunità degli affiliati. Se Peluso, secondo l’accusa, ha partecipato alle attività illegali in qualità di assessore (ai Lavori pubblici prima e al Commercio poi), Alibrico e Falco stando agli atti dell’inchiesta per conto del clan avvicinavano le vittime di estorsione – cioè coloro che si erano aggiudicati i lavori pubblici – per riscuotere le somme estorte (una parte rimaneva a loro). Non solo informavano anche gli altri componenti dell’associazione mafiosa sulle imprese che avrebbero vinto l’appalto e diventavano intermediari tra il clan e le imprese. E – sempre secondo gli inquirenti – condizionavano anche le gare d’appalto, con la collaborazione del funzionario comunale.

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