di Giuseppe Castro

Difficile descrivere le emozioni che ci travolgono di fronte agli avvenimenti in corso al confine tra Israele e Striscia di Gaza. Gli anni ‘20 del XXI secolo, purtroppo, continuano a non smettere di stupirci negativamente.

I palestinesi di Gaza, 2 milioni di persone rinchiuse in una striscia di poco più 360 km quadrati e governati da Hamas, considerata un’organizzazione terroristica da Usa ed Unione Europea, hanno fatto la mossa del topo chiuso in un angolo. La mossa di chi, rimasto con le spalle al muro, aggredisce l’avversario con un attacco praticamente insensato ma senza alternative.

Da qualsiasi prospettiva la si guardi quanto sta avvenendo è una tragedia. Tragedia per i ragazzi e i civili israeliani, vittime innocenti di questo attacco; tragedia per i civili di Gaza, che quasi certamente subiranno migliaia e migliaia di morti in casi di attacco di terra israeliani; e non ultimo, tragedia per i militari di ambo le parti, carne da cannone all’interno di un gioco più grande di loro. Vittime e carnefici, simultaneamente. E la sensazione, purtroppo, è che il peggio debba ancora arrivare, come se ulteriori morti ed atrocità fossero ineluttabili.

La cosa che forse crea più fastidio e rabbia in tutto questo è l’improvviso risveglio della comunità internazionale, cascata dal pero dopo decenni di assoluto disinteresse. Come se la questione palestinese riemergesse magicamente solo ora dalle sabbie del tempo. Come se per decenni questa bomba ad orologeria non fosse stata sempre lì, sotto gli occhi di tutti, pronta ad esplodere. Decenni in cui in Cisgiordania, dove al governo vi sono i “palestinesi buoni” dell’OLP, gli israeliani hanno costruito serenamente ulteriori insediamenti nel più totale disinteresse del diritto internazionale – non si contano le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza violate – e delle proteste del governo palestinese. Decenni in cui a Gaza, dove governano i “palestinesi cattivi” di Hamas, gli abitanti vivono nella morsa di un blocco terrestre e navale, dove l’85% della popolazione vive con 2 dollari al giorno. Dove gli abitanti sono soggetti ad attacchi aerei e bombardamenti continui e in cui troppe volte un morto palestinese ha pesato molto meno di un morto israeliano.

Se in una contesa tra due persone si permette ad una di fare quel che vuole all’altra, la contesa non potrà che inacidirsi e incattivirsi, con conseguenze negative per tutti. La stessa cosa avviene nelle contese tra stati. Quali alternative politiche concrete sono state date ai palestinesi in questi anni? Ne ricordo poche, tra l’altro tutte disattese.
Non dare chance ai palestinesi, disattendere gli accordi, significa condurli mano nella mano verso posizioni estremiste. Così come essere alleati e amici del popolo israeliano non significa per forza appoggiare unilateralmente il suo governo.

Non sappiamo cosa vi sia dietro la mossa dei palestinesi: forse l’Iran, forse qualcosa di ancora più grande. Probabilmente non lo sapremo presto, come non sapremo se questa inutile tragedia poteva essere evitata. Quello che possiamo dire con certezza è che nessuna grande potenza ha fatto veramente qualcosa per evitarla. E di fronte a tutte questi lutti e a queste atrocità assurde ed inutili cui stiamo assistendo, che senso può avere chiederci “per chi suona la campana… la campana suona per tutti noi”.

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