“Il 15 agosto 2019 inviai una relazione sulle condizioni di degrado dei migranti a bordo della Open Arms e su tutti i punti che, a mio avviso, richiedevano attenzione. Mandai la missiva al presidente del Consiglio, ma anche ai ministri interessati: il ministro dell’Interno Matteo Salvini, il ministro degli Esteri Elisabetta Trenta, il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli. Solo il presidente Conte mi contattò ringraziandomi, gli altri non mi risposero“. Lo rivela Mauro Palma, il Garante Nazionale delle persone detenute e private della libertà personale, interpellato come testimone delle parti civili nel processo Open Arms, in cui l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini è imputato di sequestro di persona e di rifiuto di atti d’ufficio per avere lasciato sulla nave spagnola della ong 147 migranti nell’agosto del 2019.

Nell’aula del tribunale di Palermo, dove peraltro è presente lo stesso Salvini, Palma ripercorre dettagliatamente i fatti, che ebbero inizio tra il 1 e il 10 agosto del 2019, quando la Open Arms, in più operazioni distinte, mise in salvo 163 persone ma fu costretta ad attendere 19 giorni in mezzo al mare a largo delle Pelagie prima di ottenere l’ingresso in un porto. Questo avvenne perché il 2 agosto alla nave fu applicato il Decreto Sicurezza bis, emanato da Salvini e co-firmato da Toninelli e da Trenta, che imponeva il divieto di entrare in acque italiane.

Il garante dei detenuti premette: “Ricevetti l’8 agosto una lettera dalla ong spagnola Foundation Proactiva Open Arms e mi si diceva che tra l’1 e il 2 agosto questa nave aveva tratto in salvo 2 imbarcazioni con 124 persone a bordo. Si dava una descrizione di presenza di bambini, di minori non accompagnati – continua – e di persone che avevano segni di precedenti violenze. Quindi, a mia volta inviai una lettera al comandante della Guardia Costiera, l’ammiraglio Giovanni Pettorino, per chiedergli conferma delle condizioni di fragilità dei migranti e gli feci presente 2 questioni”.

Palma spiega che in quei giorni la nave era in acque internazionali ma ai confini di quelle italiane e che le condizioni problematiche dei migranti avrebbero potuto implicare una presa in carico in termini di giurisdizione da parte dell’Italia.
Altro punto nevralgico sollevato da Palma nella sua missiva riguardava la sentenza definitiva del 23 febbraio 2012 con cui la Grande Camera della Corte Europea dei Diritti Umani condannava l’Italia nel caso Hirsi Jamaa per violazione dell’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello sui trattamenti degradanti e la tortura.
La vicenda avvenne durante il governo Berlusconi con il leghista Roberto Maroni alla guida del Viminale: il 6 maggio 2009 circa 200 migranti, su 3 barche dirette in Italia, furono trasbordati su navi italiane e riportati a Tripoli contro la loro volontà, in conformità agli accordi bilaterali tra Italia e Libia. I migranti, tuttavia, furono rispediti a Tripoli senza prima essere stati identificati, né preventivamente informati sulla loro destinazione.

“In quella sentenza – spiega Palma – la Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo scrisse: attenzione, quando una situazione è al confine in termini di respingimento, se lo Stato che respinge è titolare di quel confine, di fatto esercita una forma di sovranità e quindi, in quanto tale, diventa obbligatorio per quello Stato tutelare i diritti delle persone a cui sta vietando quell’accesso“.

Il garante dei detenuti aggiunge: “L’ammiraglio Pettorino mi rispose confermando una serie di punti. Io, il 9 agosto, feci poi un comunicato stampa, che aveva il solo fine di calmare la situazione e di rassicurare tutti. Dopo quella mia nota, ho ricevuto attacchi dal Viminale che diceva che avevo fatto quello per salvare il mio stipendio“.
Palma non nomina esplicitamente Salvini, seppure incalzato dall’avvocato della parte civile Proactiva Open Arms, Arturo Salerni, ma cita un articolo del Secolo d’Italia risalente al 9 agosto 2019 e dal titolo inequivocabilmente polemico: ” Open Arms, il Garante dei detenuti (Pd) contro il Viminale che replica: pubblichi il suo stipendio”.

Nel testo, che sbertuccia Palma dandogli del “politicizzatissimo”, si riporta la replica ufficiale di Salvini: “Qualcuno potrebbe pensare che il Garante dei Detenuti debba giustificare la propria esistenza e il proprio stipendio statale, che peraltro non è pubblicato con evidenza sui siti ufficiali come previsto per legge”.

Palma prosegue la sua testimonianza: “Quando la nave entrò in acque nazionali, contattai la segreteria della presidenza del Consiglio, anche con messaggi whatsapp, dicendo che ero preoccupato della situazione e che era richiesta attenzione sull’eventuale violazione di alcune normative. Dopo che inviai alla segreteria tutte le carte – spiega – nella tarda mattinata del 15 agosto ricevetti una telefonata dal presidente del Consiglio, il quale mi chiedeva di segnalare entro 2 o 3 ore quali fossero, a mio giudizio, gli elementi di rischio rispetto a censure internazionali. Inviai la mia relazione al presidente Conte, ma anche ai ministri interessati. Mi rispose solo Conte“.

E aggiunge: “I punti che inviai erano sostanzialmente: l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per via delle condizioni dei migranti a bordo; l’art. 33 della Convenzione di Ginevra, perché ai migranti a bordo non era stato permesso di presentare asilo; l’art.3 della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia, perché sulla nave c’erano dei bambini. E infine – sottolinea – come già feci nella lettera a Pettorino, feci presente la sentenza della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Hirsi Jamaa. Allertavo Conte e i ministri sulla passata condanna dell’Italia, che fece anche ricorso ma lo perse”.

Palma conclude, soffermandosi sull’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, articolo secondo cui ‘nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti‘ : “Anche in occasione del 16 agosto, feci un comunicato stampa in cui, in relazione alla situazione dei migranti a bordo, parlai di “perdurante situazione di privazione della libertà de facto” e di “trattamento degradante”, perché – chiosa – era degradante il fatto che le persone fossero tenuti sul ponte con pochi servizi e cose di questo genere. E si trattava di persone che, come mi è stato confermato dal comandante della Guardia Costiera, provenivano da un passato particolarmente problematico”.

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