“Il disastro che si è abbattuto su Israele durante la festività della Simchat Torah è chiaramente responsabilità di una persona: Benjamin Netanyahu”. Non usa mezzi termini l’editoriale apparso l’8 ottobre sul quotidiano israeliano Haaretz: per il quotidiano notoriamente progressista la causa principale dell’attacco di Hamas è il primo ministro israeliano e, più nello specifico, il “governo di annessione ed esproprio” che ha istituito dopo aver vinto di misura le ultime elezioni. Netanyahu, sostiene l’editoriale, “si vantava della sua vasta esperienza politica e della sua insostituibile saggezza in materia di sicurezza”, ma “ha completamente fallito” nel comprendere verso quali pericoli stava conducendo Israele quando ha messo in piedi il governo più a destra della storia del paese, con gli estremisti Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir nominati in posizioni chiave e “una politica estera che ignorava apertamente l’esistenza e i diritti dei palestinesi”.

“Netanyahu cercherà certamente di sottrarsi alle proprie responsabilità”, continua l’editoriale, “incolpando i vertici dell’esercito, dell’intelligence militare e del servizio di sicurezza Shin Bet”. Non che tali istituzioni siano prive di colpe, avendo queste sottostimato la probabilità di un’escalation. Un errore simile a quello compiuto dai loro predecessori alla vigilia della guerra dello Yom Kippur: “Deridevano il nemico e le sue capacità militari offensive”. Insomma, gli errori dell’intelligence e delle Forze di difesa israeliane verranno certamente a galla nelle prossime settimane, e un eventuale richiesta di sostituirli sarà certo “giustificata”. E tuttavia, sostiene l’editoriale, “il fallimento militare e dell’intelligence non assolve Netanyahu dalla sua responsabilità generale per la crisi”.

Il premier è infatti “l’arbitro ultimo degli affari esteri e di sicurezza israeliani”, ruolo in cui certamente Netanyahu non è un principiante, “come lo era Ehud Olmert nella seconda guerra del Libano”. E anche per quanto riguarda la materia militare, Bibi non sarebbe affatto ignorante, “come affermavano di essere Golda Meir nel 1973 e Menachem Begin nel 1982″. E tuttavia, il premier avrebbe commesso un errore fondamentale: quello di mettere da parte le posizioni caute sposate in passato, quando diceva di voler evitare guerre e vittime, abbracciando invece “la politica di un ‘governo completamente a destra’”.

Ed ecco che Bibi ha esplicitamente adottato misure “per annettere la Cisgiordania, per effettuare la pulizia etnica in parti dell’Area C definita dagli accordi di Oslo, incluse le colline di Hebron e la valle del Giordano”. A ciò si aggiunge “una massiccia espansione degli insediamenti e il rafforzamento della presenza ebraica sul Monte del Tempio, vicino alla Moschea di Al-Aqsa”. E ancora, il premier si sarebbe vantato “di un imminente accordo di pace con i sauditi da cui i palestinesi non avrebbero ottenuto nulla”. Tutte mosse che, secondo l’editoriale, non potevano non riaccendere le ostilità, cominciate in Cisgiordania e poi proseguite con l’attacco a sorpresa di Hamas.

E sul motivo per cui Netanyahu ha istituito “questa orribile coalizione” e ha intensificato le misure contro i palestinesi l’editoriale non ha alcun dubbio. “Un primo ministro incriminato per tre casi di corruzione” – continua infatti l’articolo – “non può occuparsi degli affari di stato, poiché gli interessi nazionali saranno necessariamente subordinati alla sua liberazione da una possibile condanna e dalla pena detentiva”. Di qui anche il “colpo di stato giudiziario” avanzato da Bibi, ossia la nuova riforma della giustizia, nonché “l’indebolimento degli alti ufficiali dell’esercito e dei servizi segreti, che erano percepiti come oppositori politici”. Insomma, Bibi non avrebbe pienamente compreso i pericoli cui condannava Israele mentre tentava di difendere la sua posizione. “Il prezzo”, ha concluso l’editoriale, “è stato pagato dalle vittime dell’invasione del Negev occidentale”.

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