Due uomini hanno bussato alla sua porta e gli hanno intimato di non recarsi in aula per l’udienza del 20 settembre, in cui doveva essere sentito come testimone sugli affari delle cosche di Rosarno. Gli emissari della ‘ndrangheta sono riusciti nel loro intento. Ma la cosa più grave è un’altra: erano a conoscenza della località segreta dove si nasconde il collaboratore di giustizia Lorenzo Bruzzese, che, con le sue dichiarazioni, ha fatto partire l’inchiesta “Faust” contro i clan della Piana di Gioia Tauro. A denunciarlo è stato lui stesso mercoledì mattina davanti al Tribunale di Palmi, dove si sta celebrando il processo di primo grado.

Collegato in videoconferenza, Bruzzese si è scusato con i giudici per non essersi presentato il 20 settembre e ha spiegato il motivo della sua assenza, affermando che due giorni prima della data prevista – cioè il 18 settembre – due soggetti si erano presentati alla porta dell’abitazione dove vive con la sua famiglia. Dopo avergli “consigliato” di non partecipare all’udienza – ha riferito – hanno detto che per ora non gli sarebbe stato fatto del male. Il sottinteso era evidente: per non subire ritorsioni, Bruzzese avrebbe dovuto rimangiarsi tutte le accuse agli uomini del clan. In altre parole, con le buone i due uomini hanno “invitato” il pentito a ritrattare le dichiarazioni contro la ‘ndrangheta di Rosarno rese ai pm della Direzione distrettuale antimafia. Invito che il collaboratore non ha accolto, presentandosi all’udienza del 4 ottobre e rispondendo alle domande del sostituto procuratore della Dda Reggio Calabria Sabrina Fornaro e del presidente del Tribunale di Palmi Francesco Petrone. Bruzzese ha confermato le accuse rese durante le indagini contro la cosca dei Pisano (detti “i Diavoli”) e ha illustrato le attività illecite della famiglia, che sul territorio, secondo gli inquirenti, si occupa di armi, estorsioni e usura, ma anche di traffico droga e di rapporti con uomini infedeli della Guardia di finanza.

In un verbale del 2015, infatti, il pentito aveva spiegato di aver accompagnato a Rosarno il fratello Joseph Bruzzese, narcotrafficante di livello internazionale, “alla campagna (la casa di villeggiatura, ndr) di Domenico Pisano”, soggetto coinvolto nell’inchiesta “Faust”. “Si vedevano tutti là, c’erano tante altre persone, io ho visto questo… ho visto questo finanziere… c’era pure l’ex collaboratore Bruno Fuduli (morto impiccato nel 2019, ndr)”. Gli affari di cui si discuteva riguardavano la cocaina importata dal Sudamerica: la droga “era sempre nei container che trasportavano delle banane”. A quelle riunioni nella “campagna di Domenico Pisano”, stando ai verbali di Bruzzese, c’erano tutti: suo fratello Joseph, Fuduli e il finanziere, che il collaboratore indica come “un colonnello di Roma”.

In un verbale del 2016, poi, ricordava altri dettagli: “Mio fratello mi ha raccontato che aspettavamo un colonnello che veniva credo da Roma, in servizio presso la Guardia di finanza o i Carabinieri e che giungeva a bordo di una Jeep nera. Ho visto che mio fratello e gli altri parlavano anche con questo colonnello… Mio fratello mi diceva che si trattava di un colonnello con cui erano in affari per trasportare la cocaina da Caracas al porto di Gioia Tauro. Non ricordo se mio fratello mi ha specificato che ruolo avesse il colonnello nell’affare. Vedevo arrivare il colonnello in compagnia di un’altra persona. Dopo le riunioni a casa di Pisano andavamo sempre a Bianco a fare altre riunioni, non ricordo a casa di chi, anche se ci saprei arrivare. Presumo che le riunioni erano finalizzate a mettere d’accordo i due gruppi (quello della tirrenica, diretto dai Pisano, e quello della Ionica di cui faceva parte il Mollica, ndr) sulle condizioni dell’affare di droga”.

Se sono queste le dichiarazioni che qualcuno vorrebbe far ritrattare a Bruzzese, è ancora presto per dirlo. Di certo è grave che i due misteriosi uomini arrivati a casa sua fossero a conoscenza della località segreta dove il collaboratore (uscito mesi fa dal programma di protezione) vive senza tutela, e siano riusciti a portare un messaggio così inquietante. Al termine dell’interrogatrio, l’avvocato del pentito Michele Gigliotti ha chiesto di sapere quali determinazioni assumerà la Procura di Reggio Calabria: in aula è stato spiegato che il verbale con le sue dichiarazioni sarà acquisito dalla Dda. Inevitabile, a questo punto, che l’ufficio diretto da Giovanni Bombardieri apra un’indagine sull’accaduto.

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