Il 1995 è stato un anno davvero difficile per Katalin Karikó, una ricercatrice nata in Ungheria che lavorava presso l’università della Pennsylvania. Era negli Stati Uniti sola con sua figlia allora tredicenne mentre suo marito era rimasto bloccato in Ungheria a causa di un problema con il visto e aveva appena ricevuto una possibile diagnosi di cancro. Come se tutto questo non fosse stato sufficiente, dopo sei anni il suo ateneo le aveva appena comunicato che sarebbe stata “demoted”, cioè non più tenuta in considerazione per la promozione al nostro equivalente di professoressa di ruolo. Questa decisione nasceva dal fatto che le sue ricerche sull’RNA messaggero non avevano portato a nulla di rilevante fino a quel punto e soprattutto Karikó non aveva ottenuto finanziamenti significativi, una condizione essenziale per essere ritenuti ricercatori capaci nelle università statunitensi ed essere rispettati dai colleghi. Si trattava in ogni caso di un colpo mortale alla propria carriera, dopo il quale la stragrande maggioranza degli scienziati semplicemente avrebbe abbandonato, perché di fatto è un invito cortese a lasciare il mondo accademico.

Karikó non era nuova ad affrontare delle difficoltà, fin da quando dieci anni prima, nel 1985, vista l’impossibilità di ottenere fondi di ricerca per il suo laboratorio, aveva lasciato l’Ungheria insieme al marito e a sua figlia Susan di soli due anni, con un biglietto di sola andata per gli Stati Uniti. Poco prima, la coppia aveva venduto la propria auto e il ricavato (circa 1200 dollari americani) era stato cucito all’interno del peluche della figlia. E anche nella cittadina di Szolnok, dove era nata nel 1955 da un padre macellaio e madre bibliotecaria, la vita non era semplice: a casa non aveva né frigorifero né il televisore e nemmeno l’acqua corrente.

Karikó era davvero portata per la scienza. In giovane età ottenne il terzo posto a una competizione nazionale di biologia. Giunta negli Stati Uniti, era riuscita a ottenere una posizione come “assistant professor” presso l’università della Pennsylvania: se tutto fosse andato bene sarebbe diventata professoressa, ma in quella mattina del 1995 seppe che le cose non erano affatto andate bene. Decise però di accettare il demansionamento e la conseguente riduzione di stipendio. Il non arrendersi mai e superare le difficoltà deve essere qualcosa insito nella sua famiglia, visto che la figlia Susan ha vinto per due volte la medaglia d’oro olimpica nel canottaggio.

L’idea di poter usare l’RNA messaggero per fare in modo che le cellule producessero delle proteine specifiche non era affatto nuova. Tuttavia, c’erano almeno due problemi notevoli. Il primo era che la sintesi delle proteine avviene nei ribosomi, che sono strutture contenute all’interno della cellula. Qui fu trovata una soluzione: incapsulando l’RNA messaggero in liposomi, delle vescicole artificiali autoassemblanti formate da grassi (lipidi), così si poteva superare la membrana cellulare. Il secondo problema era molto più complesso. L’RNA messaggero introdotto nel circolo sanguigno era molto instabile perché era attaccato dal sistema immunitario dell’ospite, che lo distruggeva. In più, i frammenti così ottenuti scatenavano una forte risposta immunitaria e infiammatoria.

Un giorno del 1997, Katalin Karikó era in fila per fare le fotocopie insieme a un altro ricercatore appena assunto dall’università della Pennsylvania, Drew Weissman, un allievo di Antony Fauci, e i due iniziarono a discutere della possibilità di usare un RNA messaggero sintetico, cioè che sarebbe stato riconosciuto dai ribosomi ma non attaccato dal sistema immunitario. Nel 2005 i loro sforzi portarono a un’importante pubblicazione che fu però accolta inizialmente con deciso scetticismo dalla comunità scientifica. Il prof. Guido Silvestri, amico di vecchia data di Weissman, alla luce dei nuovi dati ha ammesso senza problemi il suo errore di valutazione in questo caso.

L’aspetto migliore della comunità scientifica è che di fronte ai dati gli scienziati seri ammettono di essersi sbagliati e cambiano idea.

Gli studi di Drew Weissman e Katalin Karikó hanno permesso di aprire l’orizzonte a terapie personalizzate per molte malattie e sviluppare i vaccini a mRNA contro il Covid-19 da parte di Moderna e Biontech. Ecco perché a questi due scienziati è stati riconosciuto con il premio Nobel 2023 per la medicina.

Così come si è riconosciuta l’importanza delle loro scoperte e l’importanza di questi vaccini, va detto che dopo quasi tre anni mancano ancora le prove che dimostrano invece l’efficacia delle misure non farmacologiche durante la pandemia, come ad esempio le chiusure delle scuole, che hanno causato danni enormi a ragazzi e ragazze. E non parliamo nemmeno del Green Pass all’italiana. Infatti, come spiegato anche dalla prof. Sara Gandini, l’agenzia governativa per la sicurezza sanitaria nel Regno Unito ha recentemente concluso che le prove di efficacia riguardo tutte queste misure (compreso l’uso generalizzato delle mascherine) sono scarse o nulle.

Come la comunità scientifica ha compreso di aver sottovalutato gli studi di Katalin Karikó e il suo valore come ricercatrice, sarebbe ora di dire chiaramente che quelle di cui sopra sono state decisioni politiche prive di supporto scientifico. Se in un momento emergenziale e di incertezza (i lockdown all’inizio della pandemia) queste misure potevano essere giustificate, non lo erano più nelle fasi successive. E come tanti scienziati hanno ammesso un errore di valutazione nelle ricerche di Weissman e Karikó, sarebbe giusto riconoscere che sono stati i vaccini, e non altro, le misure realmente efficaci per ridurre i danni dal Covid.

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