C’era una volta lo spazio. O meglio: c’era una volta la vecchia politica spaziale. Che viveva di tre step: i governi finanziano, i governi decidono, i governi comandano tutta l’attività del settore, per motivi molto politici e poco scientifici. C’era una volta, appunto. Perché oggi quel mondo è cambiato per sempre. Ci sono sì i governi, che investono fior di miliardi in un comparto diventato strategico per la sicurezza; ma ci sono anche e soprattutto i privati. Che appunto fanno i privati, quindi inseguono il business. Effetto: i tempi e i costi elefantiaci dei vecchi progetti spaziali sono un lontano ricordo, il comparto spaziale vive un momento di straordinario dinamismo, tecnologico ed economico. È la cosiddetta Space Economy, bellezza. E l’Italia vive un paradosso: rappresenta un’eccellenza mondiale per tutta la filiera tecnologica, ma soffre la mancanza di una classe dirigente specializzata nelle nuove sfide del comparto. Colmare questa lacuna è l’obiettivo del primo master in Space Economy organizzato in Italia. Partirà a ottobre, è organizzato dalla Luiss Business School, si terrà a Roma ma non sarà romanocentrico, è stato presentato nel pomeriggio di ieri, giovedì 28 settembre, nel corso di un evento tenutosi a Villa Blanc, la sede capitolina dell’università.

La platea è stata sintomatica dell’interesse che l’iniziativa ha riscosso nelle tre linee che rappresentano lo spazio in Italia: forze armate, industria, enti e centri di ricerca. A Villa Blanc, del resto, mentre il presidente della Luiss Business School Luigi Abete presentava il progetto (lezioni, ma anche tanta esperienza sul campo) nelle prime file sedevano i più alti ufficiali delle forze armate, il consigliere militare di Palazzo Chigi Franco Federici, i rappresentanti dei maggiori centri di ricerca e i massimi dirigenti di una serie di aziende leader del settore. Si parla di Massimo Comparini di Thales Alenia Space, di Cristina Leone (presidente del Distretto nazionale Aerospaziale), del presidente del Cira di Capua Antonio Blandini e di Carlo Festucci, segretario generale dell’Aiad. Questi ultimi, dopo la presentazione e gli interventi degli ospiti istituzionali, hanno partecipato alla tavola rotonda sul tema “Space Economy: la competitività delle aziende italiane e del sistema Italia in un settore strategico“. A moderare l’incontro il professor Ezio Bussoletti, advisor istituzionale sullo spazio per vari governi e ministeri, ex vice presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, nonché vero deus ex machina del master in questione, il cui comitato di coordinamento è composto (oltre che dallo stesso Bussoletti) anche dai professori Jean-Pierre Darnis, Maria Isabella Leone, Luca Pirolo e Aldo Sandulli.

“Fino a pochi anni fa il comparto spaziale è stato monopolio dei governi delle principali nazioni egemoni, che hanno finanziato tutte le attività – ha spiegato il professor Bussoletti a ilfattoquotidiano.it – Nel corso degli anni però lo sviluppo delle tecnologie e dei servizi hanno mostrato sempre più quanto fosse anche economicamente interessante la gestione“. L’esempio portato dall’ex vicepresidente Asi è riferito ai satelliti, emblema del progresso: un tempo erano enormi, pesavano varie tonnellate e misuravano tutto il possibile; ora invece ci sono mini e micro satelliti, da 100kg fino a poche decine di grammi, in grado di misurare uno o due parametri, ma messi in orbita a decine o centinaia ad ogni lancio in nuvole e costellazioni. Il risultato? Funzionano meglio dei vecchi bisonti delle stelle e, particolare non di secondo grado, costano decisamente meno. “Tutto questo è stato generato dall’ingresso dei privati nel gioco” ha spiegato Bussoletti, secondo cui “questa rivoluzione sempre più veloce ha determinato uno scombussolamento del paradigma di riferimento, mettendo anche in primo piano tycoons privati in grado di competere con gli Stati e capaci di offrire servizi strategici a costi precedentemente mai presi in considerazione”. Questa è la cronaca. E da qui bisogna partire per capire cosa serve oggi al comparto.

Sempre Bussoletti: “Nel momento in cui è il mercato che è entrato a gestire un comparto così strategico, ecco che nasce la necessità di formare esperti capaci di navigare in questo mondo nuovo e gestire questi nuovi equilibri sempre molto dinamici. Da qui – ha sottolineato il professore – la costatazione che l’Italia, sesta o settima potenza spaziale nel mondo, si è trovata di fatto sguarnita nella formazione di personale altamente qualificato e provvisto di una competenza trasversale tra due mondi come economia e finanza da un a parte e scienza e tecnologia dall’altra. Cioè persone in grado di affrontare quella che è oggi la Space Economy”. Dall’esigenza di cercare di colmare questo gap è nata l’idea di un master universitario di alto livello. “Da una parte le Università statali non sono ancora attrezzate per la creazione di questi corsi, con docenti di alto livello che abbiano effettivamente svolto attività nei vari settori e che siano riconosciuti a livello nazionale e internazionale – è il parere dell’ex vicepresidente Asi – Si vedono in giro sprazzi, non sempre estremamente qualificati e non inseriti in una visione di insieme in grado di rispondere alle necessità chiare dei vari stakeholders, civili e militari“. Nel master in questione, oltre ai docenti di alto livello, sono coinvolti anche centri e istituti di ricerca, industria e mondo della Difesa, “perché non va mai dimenticato, come troppo spesso accade purtroppo, che lo spazio è intrinsecamente duale e se ne deve sempre tenere conto”.

Articolo Precedente

Nadef approvata, poche risorse e forte indebitamento: una mossa che andrebbe rivista per tre motivi

next