L’ex ad di Autostrade Giovanni Castellucci, l’allora direttore generale Riccardo Mollo e altri due dipendenti di Aspi, Massimo Giulio Fornaci e Marco Perna, sono stati ritenuti colpevoli in appello per la strage del bus lungo l’A16 Napoli-Canosa, precipitato in una scarpata dal viadotto di Acqualonga, in provincia di Avellino, il 28 luglio 2013, provocando 40 morti. Tutti e quattro sono stati condannati a 6 anni di carcere dalla Corte d’Appello di Napoli che ha ribaltato la sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Avellino. Durissima la replica dello stesso Castellucci, che accusa: “Una giustizia condizionata dalla esigenza superiore di trovare un capro espiatorio in presenza di tante vittime”. L’ex ad di Aspi parla di “falsità e disinformazione“, respingendo le responsabilità connesse al suo ruolo: “Come se i principi dell’affidamento non esistessero”. Di segno opposto la reazione del Comitato in ricordo delle vittime del ponte Morandi: “Con la sentenza d’appello per la strage di Avellino riappare la luce in questa grave vicenda in cui la protagonista è ancora Autostrade per l’Italia, con azionariato di maggioranza Benetton e con l’amministratore delegato Castellucci”, afferma la portavoce Egle Possetti. “Dobbiamo tutti riflettere a fondo sull’importanza delle intercettazioni nella ricerca della verità”, sottolinea ancora Possetti.

Le altre condanne – I giudici di secondo grado hanno anche confermato, riducendo leggermente le pene, le condanne di primo grado: ai dirigenti di Autostrade Paolo Berti e Nicola Spadavecchia la pena è stata rideterminata a 5 anni, mentre i dipendenti Gianni Marrone, Gianluca De Franceschi e Bruno Gerardi sono stati condannati a 3 anni. Il resto della sentenza di primo grado è stata integralmente confermata, ad esclusione della falsa revisione del bus, per la quale erano stati condannati il titolare della ditta del bus Gennaro Lametta e la dipendente della Motorizzazione civile di Napoli Antonietta Ceriola, poiché è intervenuta la prescrizione. Il primo era stato condannato a 12 anni e la seconda a 8 anni, ridotte in secondo grado rispettivamente di 3 e 4 anni.

Le intercettazioni dopo la sentenza – Nell’ambito dell’inchiesta sulla strage del Ponte Morandi e dei filoni emersi nei mesi successivi sulle presunte false certificazioni erano emerse alcune intercettazioni di Berti nelle quali parlava anche di quanto avvenuto nel processo di Avellino. Nel gennaio 2019, il l’ex direttore di tronco di Autostrade è al telefono con Michele Donferri Mitelli, ex responsabile manutenzioni, mentre gli uomini della Guardia di finanza di Genova ascoltano. Berti “manifesta il proprio disappunto – riassumeva il giudice che firmò i domiciliari per Donferri Mitelli – per essere stato condannato nell’ambito del processo di Avellino, lamentandosi che avrebbe potuto dire la verità e così mettere nei guai altre persone”.

“Meritava che dicessi la verità” – E l’ex responsabile delle manutenzioni rispondeva: “…tu hai ragione ma non è che se metti in galera anche n’altro o comunque glie dai n’accusa… (…) Aspettali al varco pensa soltanto a stringere un accordo col capo punto e basta! Basta nun puoi far niente…”. In un’altra conversazione Berti affermava: “Meritava che mi alzassi una mattina e andassi ad Avellino a dire la verità”. Secondo i pm di Genova, Berti tenne questo comportamento per coprire Castellucci e – sempre a loro avviso – in cambio ottenne uno scatto di carriera e un aumento di stipendio di circa 400mila euro.

Gli imputati e i reati – Nel processo per la strage di Avellino in primo grado erano quindici gli imputati che a vario titolo sono stati accusati di omicidio colposo plurimo, disastro colposo e lesioni. La sentenza di primo grado, emessa l’11 gennaio del 2019 dal giudice monocratico del Tribunale di Avellino, Luigi Buono, condannò otto imputati e ne assolse altri sette tra le proteste dei familiari delle quaranta vittime della più grave tragedia stradale italiana. Il procuratore capo di Avellino disse: “La strage non ci sarebbe stata se Autostrade avesse provveduto alla manutenzione del viadotto”.

Le richieste del pg in appello – In appello il sostituto procuratore generale, Stefania Buda, aveva chiesto la condanna a dieci anni per Castellucci e di applicare agli imputati assolti le condanne chieste in primo grado. Il bus, che aveva percorso oltre un milione di chilometri circolava con un certificato di revisione falso, secondo l’accusa, grazie alla complicità di Ceriola. Le difese degli imputati, anche in sede di appello, hanno chiesto l’assoluzione di tutti gli imputati. Come nel primo grado di giudizio, anche in secondo grado sono stati due i principali versanti sui quali si fronteggiano accusa e difese: la manutenzione delle barriere di sicurezza autostradali e lo stato di manutenzione e sicurezza del bus.

Cosa accadde quella notte – I turisti tornavano a casa da una gita di alcuni giorni a Telese Terme (Benevento) e nei luoghi di Padre Pio, a Pietrelcina. Erano partiti da Pozzuoli (Napoli) con il bus della stessa agenzia alla quale si erano già rivolti per organizzare spiccioli di vacanza in comune e a buon prezzo, 150 euro a persona tutto compreso, e con la quale avevano già programmato un nuovo viaggio al santuario mariano di Medjugorje. Lungo la discesa dell’A16 Napoli-Canosa, nel territorio di Monteforte Irpino, il bus guidato da Ciro Lametta, fratello del proprietario dell’agenzia Mondo Travel che aveva organizzato il viaggio, cominciò a sbandare dopo aver perso sulla carreggiata il giunto cardanico che garantisce il funzionamento dell’impianto frenante. Dopo aver percorso un chilometro senza freni, ondeggiando a destra e sinistra, tamponando le auto, una quindicina, che trovava sul percorso, il bus nel tentativo di frenare la corsa si affiancò alle barriere protettive del viadotto Acqualonga che cedettero facendolo precipitare nel vuoto da un’altezza di 40 metri.

“Solo incidente stradale con barriere ok” – Il perito del giudice di primo grado aveva sostenuto nella sua analisi che la strage si sarebbe potuta evitare e “derubricare in grave incidente stradale se solo le barriere fossero state tenute in perfetto stato di conservazione”. Autostrade per l’Italia però non avrebbe adempiuto a quest’obbligo. Altrimenti la traiettoria impazzita del vecchio pulmino turistico, dovuta alla rottura dell’impianto frenante – e poi si scoprirà che il certificato di revisione del veicolo era, secondo l’accusa, fasullo – avrebbe avuto un altro esito, il mezzo “sarebbe stato concretamente trattenuto in carreggiata, fino al suo arresto definitivo”, scrisse il perito Felice Giuliani, docente di Ingegneria delle Infrastrutture a Parma.

La replica di Castellucci – “La sentenza di secondo grado stupisce e sconcerta non solo gli avvocati perché va contro il senso comune e i fatti già accertati in primo grado e confermato se ce ne fosse stato il bisogno, in secondo grado. Non posso togliermi dalla testa che questa sia una giustizia condizionata dalla esigenza superiore di trovare un capro espiatorio in presenza di tante vittime alle cui famiglie va, ancora una volta, il mio sincero e profondo cordoglio”, commenta Giovanni Castellucci. Per l’ex ad di Aspi è stata “una giustizia alimentata da un flusso continuo di falsità e disinformazione. L’Ad come responsabile di tutto. Come se i principi dell’affidamento non esistessero”. “Sono, insieme ai miei legali, fiducioso che la inconsistenza di questa sentenza sia accertata dalla Cassazione“, dice ancora l’ingegnere. “Mi si imputa di non aver sostituito, io che ero amministratore delegato del Gruppo e non avevo alcuna conoscenza tecnica e responsabilità operativa, la barriera del ponte Acqualonga. Eppure il consiglio di amministrazione aveva assegnato ai progettisti 138 milioni di euro per sostituire tutte le barriere laterali su 2200 chilometri di tratte sulle quali insisteva il viadotto”. “Il progettista – spiega l’ex ad di Aspi – aveva deciso di non sostituire quella barriera perché ignaro del difetto occulto. E questo l’ha esplicitamente dichiarato in primo grado quando aveva affermato di aver preso autonomamente le sue decisioni su cosa lasciare in opera e cosa invece sostituire senza alcuna limitazione. Tale dichiarazione era stata confermata sia dai progetti depositati che dalle dichiarazioni testimoniali”. “Cosa avrebbe dovuto fare un Ad – chiede Castellucci – oltre dare risorse per riqualificare le barriere, riqualifica peraltro non richiesta dalle norme e totalmente volontaria? Sostituirsi al progettista e al committente per andare a verificare lo stato effettivo degli ancoraggi? Aspetto la motivazione della sentenza per darmi una risposta che ad oggi è impossibile dare”, conclude il manager.

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