Iniziamo sgommando. Connessione cinematografica al mondo dei videogiochi, Gran Turismo triangola la vera carriera del pilota britannico Jann Mardenborough con le corse di Le Mans e il mondo PlayStation Sony su un gioco cult. Ascesa inimmaginabile di un ragazzo esperto di videogiochi nelle vere corse seguito dal direttore marketing Nissan Orlando Bloom e dal drive coach David Harbour, offre le loro interpretazioni generose più la spettacolare regia di Neill Bloomkamp, uno che finora aveva fatto bene con fanta-tecnologie aliene e distopiche ma non sbaglia neanche su un quasi biopic. Non imperdibile, ma discreto intrattenimento commerciale.bIn sala dal 21 settembre, al nostro botteghino è terzo con 1,2 milioni di euro, ma nel mondo vale per ora oltre 111 milioni di dollari.

Alla guida di ben altri motori, tirato e protetto dai suoi amici fustacci armati fino ai denti, Sly Stallone torna sempre più stoicamente per il surreale I Mercen4ri. Una trovata intorno a lui discreta seppur prevedibile negli sviluppi, ma non spoilerabile, ha il gusto, non proprio buono di tutta questa saga che ha contribuito a impedirgli d’esser un possibile regista di culto sport-action. Le sue regie di Staying Alive, e dei Rocky 2, 3 e 4 potevano essere l’inizio di qualcosa di meglio. Invece al massimo si sorride bonari tra esplosioni e battutacce testosteroniche. Megan Fox esordisce nel franchise e inizia a sembrare un’attrice, e pure abbastanza brava nei duetti con Jason Statham. Però è un floppone da 100 milioni di dollari mal spesi e una decina incassati, di milioni. 600.000 euro solo da noi. Son finiti gli anni ottanta, ragazzi.

La sindacaliste, per l’Italia La verità secondo Maureen K. Che ricorda molto (e fuori luogo) il Dottor K, non era meglio tradurlo semplicemente come La sindacalista? Va a capire i giri immensi delle marketing brainstorming. Comunque il film di Jean Paul Salomè con una Isabelle Huppert sconvolgente che racchiude tutto il ghiaccio e la lava di una donna costretta a lotta imperterrita contro un mondo di uomini corrotto, ci offre uno spaccato importante sullo scenario francese tra politica, patriarcato e gestione del nucleare. Si rifà ad una reale vicenda accaduta, quella della sindacalista Maureen Kearney, prima aggredita e umiliata in casa sua e poi resa colpevole da indagini discutibili. Thriller a denti stretti per un cinema che informa sul mondo e le sue brutalità in giacca e cravatta.

La fantascienza di The creator ci porta invece nel 2065, in una distopia dove nel ‘900 abbiamo sviluppato enormemente la robotica, fino a un’atomica disastrosa su Los Angeles che ha messo in guerra gli Usa contro i robot evoluti e banditi in Occidente, ma non contro l’Asia che li accoglie integrandoli pacificamente. Adrenalina pura per una caccia al replicante tra le risaie del Sol Levante in un Vietnam 2.0 più l’inclusione di tante star dell’Est. Tutto con soli 80 milioni di dollari in budget per un film astuto, corposo e pieno di belle speranze. Protagonista il soldato americano infiltrato J.D. Washington, vedovo controverso che cercherà di salvare una bambina robot davvero speciale. Gareth Edwards ci fa riflettere sulla spiritualità sintetica anche con dei bonzi robot non programmati per l’eutanasia. Grandi ricostruzioni sceniche su un’Asia rurale distopica e una direzione che soddisferà i palati medi, seppur con fragilità narrative qua e là, crea un mondo che sarebbe bello ricontrollare tra 40 anni. Arriva in sala il 28/9.

Arriverà in sala il 5 ottobre l’opera prima Sick of myself di Kristoffer Borgli con Kristine Kujath Thorp e Eirik Sæther. Sembra quasi l’altra faccia dell’altro norvegese La persona peggiore del mondo. Una giovane cameriera che vive all’ombra dell’egocentrico fidanzato artista si autolesiona attraverso una malattia sconosciuta per attirare l’attenzione di amici e nuove possibilità lavorative. Una parabola dal sorriso tragico sulle bizzarrie narcisistiche dell’oggi, punge lo spettatore con un cast solidissimo e tante trovate di raffinata intelligenza. La sua satira allarga anche la scia scandinava di Ruben Östlund su uno sguardo lucido e beffardo della società occidentale. E se la malattia misteriosa della protagonista fosse un pericoloso mix di anomia e aspirazione narcisistica?

Il 12 ottobre esce L’ultima volta che siamo stati bambini, commedia avventurosa che intreccia situazioni tra La vita è bella, JoJo Rabbit e Stand by me.

Claudio Bisio è un satiro buono e i suoi intenti emergono chiaramente anche dalla sua prima regia di cinema. Sorrisi leggeri, voglia di raccontare al freschezza buffa dei bambini senza forzarne mai le possibilità, ma anche i segni tragici della guerra sulla povera gente. Bravo anche nel ritagliarsi il ruolo piccolo ma necessario del buffo gerarca fascista, padre di uno dei bambini, quello scout con l’ingenua fissazione di un fascismo da campeggiatore. Nel loro viaggio lungo i binari verso la Germania i ragazzini protagonisti partiti per trovare il loro amico ebreo stranamente sparito scopriranno che nazisti e camicie nere non sono una favola allegra ma pericolosi figuri. Tutto è molto tenue, adattissimo ai bambini. Marianna Fontana fa una giovane suorina all’inseguimento dell’orfanella Carlotta De Leonardis insieme a una camicia nera col volto di Federico Cesari e Antonello Fassari un nonno partigiano.

Quest’estate al Giffoni Film Festival è stata una delle proiezioni più sentite. I ragazzi facevano il tifo per i personaggi come neanche allo stadio. Lo stesso Bisio ne è rimasto sorpreso e ammaliato. Poi c’è ancora chi dice che sia meglio guardarli soli a casa i film. Buona visione.

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