Sciopero in corso all’ex Ilva di Taranto. I lavoratori di Acciaierie Italia, del sistema degli appalti e di Ilva in amministrazione straordinaria incrociano le braccia per 24 ore dopo che i sindacati sono usciti insoddisfatti e delusi dall’incontro di mercoledì a Palazzo Chigi con il governo. Oggi è anche il giorno dell’evento “Steel Commitment 2023”, incontro commerciale con i clienti organizzato da Acciaierie d’Italia nello stabilimento di Taranto, e secondo le organizzazioni sindacali l’azienda intende presentare una “realtà distorta”.

“Non abbiamo ricevuto nessuna chiara risposta su come il governo intenda risolvere questa annosa vertenza”, hanno fatto sapere Fiom, Fim e Uilm, che hanno “ricordato tutti gli impegni disattesi da parte di ArcelorMittal”. Un elenco sterminato che parte dalla “mancata applicazione del piano industriale condiviso con i sindacati con l’accordo” del 6 settembre 2018, passa per “la messa in cassa integrazione di circa 5.000 lavoratori, oltre a quelli dell’indotto” e il mancato raggiungimento dell’obiettivo di 6 milioni di tonnellate annue di acciaio fino ai “mancati investimenti per l’efficienza degli impianti, con gravi rischi di sicurezza” e la “mancata trasparenza sull’utilizzo dei 400 milioni per l’ingresso di Invitalia nel capitale sociale e degli ulteriori 680 milioni immessi quest’anno dallo stesso socio pubblico”.

“Restiamo stupiti ed esterrefatti dall’aver appreso dal governo dell’interlocuzione in atto con ArcelorMittal per raggiungere un nuovo accordo, dopo quello di marzo 2020 a noi a tutt’oggi sconosciuto, che nella sua realizzazione sta mantenendo come filo di continuità con i Governi precedenti l’esclusione dei lavoratori e dei loro rappresentanti sindacali”, hanno aggiunto le sigle metalmeccaniche che contestano “il mancato rispetto delle leggi e dei contratti di lavoro e l’uso massiccio della Cigs, con il depauperamento delle professionalità e delle competenze presenti in azienda”.

Come raccontato dal Fatto, l’ennesimo dietrofront consisterebbe in un rovesciamento della strategia di nazionalizzazione portata avanti dal ministro delle Imprese Adolfo Urso per evitare il collasso dell’acciaieria. Ma l’impegno finanziario vero se lo dovrà sobbarcare lo Stato. “Siamo all’eutanasia in Italia di fatto di Acciaierie d’Italia e siamo all’eutanasia della siderurgia in Italia”, ha commentato Michele De Palma della Fiom. “Non abbiamo certezza sul piano industriale, anzi neanche gli obiettivi precedenti sono stati centrati, e neanche quelli rimaneggiati successivamente – ha aggiunto – Al contrario, abbiamo maggiori emissioni e maggiori rischi per la salute e sicurezza perché la gente è in cassa integrazione e non si fanno le manutenzioni dentro gli impianti”.

Roberto Benaglia, leader della Fim, ha avvertito che “il gruppo sta collassando, ha finito le risorse finanziarie e sta facendo il record minimo di produzione, mancano gli investimenti e la sicurezza sul lavoro”. Il governo, ha aggiunto, “ci ha detto che si sta confrontando con Arcelor Mittal per rinegoziare le prospettive, ma non ci ha dato informazioni concrete rispetto a quali sono le basi su cui si sta svolgendo questo confronto, né tempi certi. Servono 5 miliardi per fare tutto quello che serve e il tempo è decisivo. Senza Acciaierie d’Italia e senza siderurgia il Paese non ha solo 20mila lavoratori a rischio, ma è più povero e arretrato”.

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