Dopo 30 anni di gestione da parte delle forze separatiste, il presidente del Nagorno Karabakh Samvel Shahramanyan ha firmato un decreto per lo scioglimento della Repubblica – l’enclave separatista a maggioranza armena armena non riconosciuta da Baku – a partire dal prossimo primo gennaio 2024. Dopo un’offensiva militare e un cessate il fuoco mediato da Mosca, l’Azerbaigian sta prendendo il controllo della regione. Dall’inizio del prossimo anno saranno sciolte tutte le istituzioni e organizzazioni statali, si legge nel documento, spiegando che si tratta di una decisione presa “sulla base della priorità di garantire la sicurezza fisica e gli interessi vitali del popolo del Karabakh” e “tenendo conto dell’accordo raggiunto con la mediazione del comando del contingente russo di mantenimento della pace con i rappresentanti della Repubblica dell’Azerbaigian”. Ovvero che “il passaggio libero, volontario e senza ostacoli dei residenti del Nagorno-Karabakh, compreso il personale militare che ha deposto le armi, è garantita lungo il corridoio Lachin”, autostrada che collega l’Armenia al Nagorno Karabakh e che era stata bloccata dall’Azerbaigian. Il decreto, entrato in vigore subito dopo la sua pubblicazione, afferma inoltre che “la popolazione del Nagorno-Karabakh, compresa quella al di fuori dei suoi confini, dopo l’entrata in vigore del decreto dovrebbe familiarizzare con le condizioni di reintegrazione fornite dalla Repubblica dell’Azerbaigian, al fine di costituire una comunità indipendente e di decidere in autonomia se rimanere nella regione”.

A partire dalla scorsa settimana, quando Baku ha condotto un’offensiva lampo, sono oltre 65mila i rifugiati arrivati in Armenia dalla regione separatista. Si tratta di più della metà della popolazione del Nagorno. “L’analisi della situazione mostra che nei prossimi giorni non ci sarà più alcun armeno nel Nagorno-Karabakh. Questo è un atto di pulizia etnica”, ha dichiarato il premier armeno Nikol Pashinyan parlando dell’esodo di massa dei profughi. Baku ha aperto domenica l’unica strada che collega l’enclave all’Armenia, quattro giorni dopo la capitolazione dei separatisti e un accordo di cessate il fuoco che ha spinto migliaia di civili armeni a fuggire dall’arrivo delle forze azere. Il 27 settembre Ruben Vardanyan, l’ex primo ministro dei separatisti, è stato arrestato dalle guardie di frontiera dell’Azerbaigian mentre cercava di raggiungere l’Armenia insieme a decine di migliaia di residenti dell’enclave, timorosi per le possibili rappresaglie da parte delle forze di Baku che la settimana scorsa hanno preso il controllo della regione dopo i conflitti che si sono succeduti per oltre trent’anni provocando carneficine e odii profondi. Nei giorni scorsi il presidente azero Ilham Aliyev aveva cercato di fugare i timori della comunità internazionale per una possibile pulizia etnica, promettendo un’integrazione pacifica della popolazione nell’Azerbaigian. Allo stesso tempo però Aliyev aveva annunciato che alcuni “elementi del regime criminale”, cioè del governo separatista, sarebbero stati “portati davanti alla giustizia”. Tra loro dovrebbe esserci appunto Vardanyan, miliardario russo-armeno fondatore nel 1991 di Troika Dialog, la prima società di intermediazione finanziaria della Russia e primo presidente della scuola di management Skolkovo di Mosca.

Un anno fa Vardanyan ha rinunciato alla sua cittadinanza russa trasferendosi nel Nagorno-Karabakh, di cui è stato primo ministro dal novembre 2022 al febbraio di quest’anno. Ma anche i civili della regione si sentono in pericolo. Già 50mila su un totale di 120mila armeni della regione sono fuggiti per raggiungere l’Armenia e le autorità di Baku hanno detto di avere avuto 192 soldati uccisi e 500 feriti nel blitz compiuto tra il 19 e il 20 settembre, mentre gli armeni del Karabakh hanno parlato di circa 200 morti.

La Russia, che nel Nagorno-Karabakh ha una forza di circa duemila peacekeeper, è stata accusata da Erevan di non aver saputo impedire l’offensiva azera. Diversi osservatori ritengono che la guerra in Ucraina abbia distratto Mosca da quanto sta avvenendo nel Caucaso, dove la Turchia, gli Stati Uniti e l’Iran si fronteggiano per cercare ciascuno di imporre la propria influenza. Ankara, prima alleata dell’Azerbaigian, si va ritagliando una posizione di vantaggio. Lunedì il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha incontrato Aliyev nell’enclave azera del Nakhichevan, in territorio armeno al confine con la Turchia. I due leader non fanno mistero del loro sogno di creare un collegamento terrestre attraverso il territorio armeno, il cosiddetto Corridoio di Zangezur, per unire il Nakhichevan – e quindi la Turchia – all’Azerbaigian, ciò che darebbe ad Ankara una proiezione fin sul Mar Caspio. Un progetto che toglierebbe all’Armenia il confine con l’Iran, suo storico alleato che guarda con preoccupazione a tale prospettiva. Un editoriale sul quotidiano Jomhoury Eslami (Repubblica islamica), vicino ai vertici del potere iraniano, ha avvertito che se Aliyev intende oltrepassare la “linea rossa”, si “deve aspettare una reazione decisa”.

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