Da febbraio a giugno 1991 gli Stati Uniti d’America spesero circa 10,5 milioni di dollari per tenere in rada a Livorno sei navi militarizzate cariche di armi ed esplosivi di ritorno dalla Guerra del Golfo, ufficialmente per riportarle nella base di Camp Darby. Ma gli atti d’archivio sul caso Moby Prince mettono in discussione la veridicità della missione: il traffico tracciato da queste navi alla base militare fu circa lo 0,2 per mille del carico complessivo delle navi militarizzate Usa. I dati emergono da una nuova analisi operata da ilfattoquotidiano.it su atti giudiziari della vicenda della strage del 22.25 del 10 aprile 1991, alla luce delle risultanze dell’ultima commissione d’inchiesta (la seconda sul disastro). Quest’ultima ha presentato una documentata ipotesi ricostruttiva della dinamica dell’incidente avvenuto alle 22,25 del 10 aprile 1991 davanti al porto di Livorno tra il traghetto Navarma – che oggi si chiama Moby spa – e la petroliera statale Agip Abruzzo: la collisione innescò un incendio progressivo cui seguì la morte lenta delle 140 tra passeggeri e membri dell’equipaggio, anche a causa del mancato coordinamento del soccorso pubblico nei loro riguardi da parte di Capitaneria di Porto e Marina Militare. Secondo la consulenza tecnica disposta dall’inchiesta parlamentare, la collisione sarebbe l’esito sfortunato di una manovra evasiva volontaria del Moby Prince per evitare un terzo natante non identificato, che operava in un tratto di mare proprio a poca distanza dalla petroliera Agip Abruzzo e proprio da alcune delle navi militarizzate americane.

A fornire elementi sull’entità della spesa statunitense per la permanenza nella rada del porto toscano di queste navi militarizzate americane fu il 22 novembre 2007 il terminal manager di Camp Darby dell’epoca, Francesco Infante, in una testimonianza resa di fronte a quattro magistrati della Procura di Livorno durante l’inchiesta bis (chiusa nel 2010 e finita con un’archiviazione). Infante chiarì che la spesa del noleggio di ciascuna imbarcazione costava alle forze armate Usa “40mila dollari al giorno”, che portati al valore odierno equivalgono a 46.400 euro. Moltiplicando questo valore per le sei navi alla fonda nei soli giorni in cui rimasero ufficialmente ferme in rada a Livorno – certificati da documenti d’archivio sulla vicenda analizzati da ilfattoquotidiano.it – si ottiene la cifra di 10,5 milioni di dollari dell’epoca. Un importo notevole, giustificabile solo con il motivo formalmente segnalato dal comando militare statunitense: lo scarico di armi e esplosivi alla base di Camp Darby prospiciente il porto, nell’area di Tombolo (in provincia di Pisa, al confine con quella di Livorno).

Una “causale” messa però in discussione da un altro documento d’archivio: il registro dei passaggi di natanti nel canale dei Navicelli, lungo corso d’acqua di epoca medicea che è l’unica via marittima per trasferire il carico bellico dalla rada di Livorno a Camp Darby. In questo canale passavano e passano ancora solo imbarcazioni strette e con poco pescaggio: per carichi militari le chiatte cosiddette “lash” di pochi metri oppure piccole navette cargo. Ebbene il registro dei transiti di questi “furgoni militari del mare” da febbraio a giugno 1991 – ovvero durante la permanenza delle militarizzate americane – riporta solo 115 viaggi, delle quali oltre la metà solo in uscita, ovvero con chiatte che portarono materiale da Camp Darby alle navi militarizzate. Tra queste una fu già identificata negli atti giudiziari, il Cape Flattery, nota come porta-chiatte per la sua capacità di elevare queste imbarcazioni cargo direttamente in stiva. Ne consegue quindi che – almeno stando al registro ufficiale – le sei navi militarizzate americane in rada, in 5 mesi di permanenza, hanno scaricato al massimo una ventina di tonnellate di materiali con chiatte noleggiate dagli Usa e transitanti dal canale Navicelli, in sole 52 occasioni. Un’inezia se si considera che una sola delle sei navi militarizzate noleggiate dalle autorità americane per portare le proprie armi e i propri esplosivi poteva portare fino a 19mila tonnellate di carico.

Perché far arrivare a Livorno e tenere in rada per mesi sei navi cargo con armi e esplosivi, quando per il carico effettivamente trasferito via mare sarebbe bastata e avanzata ampiamente una? Dove finì il resto del carico? Secondo quanto riferito dal terminal manager, Francesco Infante ai magistrati nel 2007, una parte di quelle armi fu scaricato nella rada del porto di Talamone e poi portato via terra a Camp Darby, ma dai documenti in atti emerge che quelle navi militarizzate restarono in rada a Livorno, per tutte le giornate consecutive fino alla partenza definitiva.

Il tema della presenza americana sul teatro degli eventi della strage del Moby Prince è già emerso più volte lungo i trentadue anni di inchieste giudiziarie, parlamentari e giornalistiche. Ed è noto che le autorità militari statunitensi mentirono per due volte, in via scritta, ad istituzioni italiane sul numero delle navi militarizzate in rada a Livorno la notte dell’incidente. L’attività di occultamento e depistaggio iniziò già nel marzo 1991 – prima del disastro – quando, in un documento a firma dell’allora vertice del XIII-XI° Medium Port Command, generale Harpole, indicò in tre navi presenti in rada le uniche con “materiale di proprietà del governo degli Stati Uniti d’America” di ritorno dalla Guerra del Golfo dove non fu utilizzato, con destinazione “base Usa/Nato di Camp Darby”. Harpole precisava nel documento il fatto che tali navi – la Edfim Junior, la Gallant 2 e la Cape Breton – fossero sotto il diretto controllo del Dipartimento della Difesa USA” quindi militarizzate.

A smentire quello stesso documento ci pensò undici anni dopo, nel maggio 2002, il responsabile dell’Avvocatura militare dell’ambasciata americana, John T. Oliver, quando, in risposta ad una lettera di un consigliere regionale toscano, chiarì come fossero 5, e non tre, le navi militarizzate Usa in rada quella notte, pur evitando di elencarle. Un’ammissione tardiva, quella dell’avvocatura militare statunitense, che tuttavia assunse i tratti del depistaggio se si considera che gli accertamenti giudiziari successivi della Procura di Livorno hanno rilevato nella rada e nel porto di Livorno almeno un’altra nave militarizzata americana nella rada livornese al momento dell’incidente, portando il numero a sei navi militarizzate americane: oltre le tre indicate nel documento di Harpole del 1991 – Edfim Junior, Cape Breton e Gallant 2 -, la Cape Flattery (impegnata appunto a caricare chiatte d’armi proprio nell’aprile 1991) e la similare Cape Farewell, oltre alla Cape Syros. A queste sei navi potremmo aggiungerne una settima ormeggiata direttamente in porto, la Margareth Lykes, e una ottava non identificata che comunica la notte dell’incidente con il nome di America Cargo Vessel. Quest’ultima è proprio tra le maggiori indiziate come possibile terzo natante non identificato che avrebbe indotto Moby Prince alla manovra evasiva finita sul fianco della petroliera Agip Abruzzo. Recentemente sollecitato da due commissione d’inchiesta sulla necessità di integrare con elementi di novità quanto finora comunicato alle autorità italiane, il governo statunitense, stando a quanto noto a fonti de ilfattoquotidiano.it, ha sempre evitato di offrire chiarimenti ulteriori sulla vicenda Moby Prince e sulla presenza di queste navi sulla scena, pur senza esprimere tale posizione attraverso atti formali.

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